Locarno 70 – As boas maneiras, infanzia di un licantropo brasiliano

Ancora infiltrazioni nel reale per l’opera seconda di Marco Dutra e Juliana Rojas: dopo Trabalhar cansa (visto al Certain Regard di Cannes 2011), in cui la quotidianità familiare di una donna si sgretolava sino alla paranoia per colpa della crisi economica, con As boas maneiras (in Concorso a Locarno 70) la coppia di autori brasiliani si spinge in un’altra lettura perturbante del reale, questa volta tarata sul registro fantastico e baciata da una dolcezza interiore che però non pare avere scampo nel mondo reale. Dutra & Rojas giocano la carta dell’horror sul tavolo di una fiaba divisa tra le due anime di San Paolo: quartieri bassi e quartieri alti, in mezzo scorre il fiume ma su tutto si estende il cielo illuminato dal plenilunio, ché questa è una storia di mostri in piena regola, anzi di licantropi per essere precisi. Lo schema gotico inverte la prospettiva tra signore del castello e popolo del borgo: la ricca Ana, rimasta incinta alla vigilia di un matrimonio che non voleva, vive lontana dalla famiglia in un lussuoso appartamento; la povera Clara, senza famiglia né amori, si fa assumere come infermiera. Due solitudini destinate a ritrovarsi innamorate e presto separate dal fato che cresce nel ventre di Ana: il bimbo, ci racconta la ragazza in un flashback, mostrato da Dutra & Rojasin in animazione, è frutto dell’avventura di una notte di plenilunio, il padre uno sconosciuto posseduto da un lupo mannaro. Quello che viene al mondo è dunque un cucciolo di licantropo, che Clara porterà con sé nei bassi di San Paolo: per crescerlo come un figlio da amare ogni giorno e come un mostro da rinchiudere con rassegnazione nelle notti di luna piena…

 

L’intreccio di elementi gotici spinge la parabola nella direzione di una visione intrusiva tra bene e male di fronte agli schemi sociali: il grottesco, che in Trabalhar cansa scricchiolava in chiave surreale assieme al mattone dell’appartamento, lascia il posto in As boas maneiras alla visione chiaroscurale di una fiaba popolata di mostri, che sposta nella rete urbana della metropoli le dinamiche della classica teratologia. Il modello di riferimento dichiarato (letteralmente citato nella scena della trasformazione a vista) è la Londra landisiana, ribaltata però da Dutra & Rojas in una San Paolo incisa in toni fiabeschi. Gli inserti musicali, le parti cantate, le pulsioni fantasy della fotografia dai cromatismi rimarcati, un po’ tutto contribuisce a creare un oggetto filmico che dispensa materiale affabulatorio in sintonia con la classica parabola del monster movie: il redde rationem col popolo armato di fiaccole e forconi entra in funzione puntualmente, così come la rivolta della creatura al suo custode. Il punto è che Dutra & Rojas lavorano proprio sullo schema di questa rivolta, trasformando la fiaba gotica nel confronto tra istinto e controllo, tra pulsione naturale dell’individuo, costruzione della relazione e costrizione nella rete. L’infanzia selvaggia truffautiana riecheggia in lontananza, ma anche il fantasy musicale di Demy nutrito di sentimenti e passioni. E il film raggiunge il suo finale con pathos crescente, ma senza perdere di lucidità: la qualità principale di As boas maneiras resta la capacità di credere nella fabula messa in scena tanto quanto nello schema su cui è costruita.