Lontano da qui. Il punto di vista che cambia il mondo

Alla base c’è un film del 2014 del giovane e celebrato regista israeliano Nadav Lapid, definito dal New York Times “sicuro di sé e straordinariamente potente”. Riscritto e adattato dalla regista quasi esordiente Sara Colangelo, The Kindergarten Teacher, che in italia è uscito con il titolo Lontano da qui, diventa un film femminile, capace di entrare nelle ombre di una storia che nasconde in se svariate sfumature e possibili sviluppi. Premiato al Sundence per la miglior regia, il film sposta il punto di vita, da quello del bambino protagonista a quello della maestra d’asilo, una quarantenne con molta esperienza e capace di totale empatia con i suoi piccoli allievi. Nel tempo libero frequenta un corso di poesia, che al tempo stesso la assorbe e la delude per la semplicità dei componimenti che è in grado di creare. Quando scopre che il piccolo Jimmy, a soli cinque anni crea poesie di grande valore e profondità, se ne interessa cercando di esaltare questa dote, mentre nessuno pare essersene accorto. Colangelo mette insieme una poetessa mancata e un bambinio con una speciale capacità e ne esamina il comportamento stringendo la macchina da presa su questo rapporto, che comprende bene e male, cura e ossessione.

 

Non tanto una storia dettagliata, cronaca di fatti che si consumano in pochi giorni d’estare, ma l’analisi di azioni e reazoni, lo studio di come nasce una mania, di come se ne diventa prigionieri, fino a compiere gesti impossibili da immaginare altrimenti. Un film tutto giocato sul punto di vista, che può cambiare la visione del mondo o di una semplice stanza. Basta guardare un angolo da un’altra prospettiva – più in alto o più in basso – perché si modifichi quella particolare realtà e, quindi, l’intero significato del pensiero che ne scaturisce.
Ecco il nocciolo della questione, l’interrogativo attorno al quale ruota la macchina da presa della regista al suo secondo film. Opera raffinata per l’esattezza con cui si procede verso il genere, evocando il thriller senza mai davvero sfiorarlo. Un film che si propone allo spettatore come un sussurro, un’ipotesi ricca di opzioni. Si osserva in silenzio, gettando fili tra cose e persone, coprendo tempi e distanze con la lievità del pensiero. Perché la complessità (e la bellezza) delle cose va oltre la loro stessa definizione, sembra dirci Colangelo, e un rapimento può essere vissuto e raccontato in un’infinità diversa di modi. Può essere viaggio nella conoscenza, evasione da un microcosmo claustrofobico, ma anche disperato tentativo di sovvertire le regole. La maestra Lisa, infatti, non è solo una donna frustrata alla ricerca di se stessa, ma anche una maestra di talento, desiderosa di insegnare e di ascoltare, capace di capire quanto l’ambiente possa influenzare la crescita intellettuale di ognuno, e vittima, al tempo stesso, di un personale tormento interiore, che la spinge verso scelte sbagliate per grandi ideali. La macchina da presa di Colangelo si pone tutte queste domande e le lascia agire al di là del limitato tempo di un film.