Su Prime Video l’attrazione del vuoto in Cena con delitto – Knives Out di Rian Johnson

Un buon racconto è una ciambella col buco. Un buon racconto giallo è una ciambella col buco la cui ricetta non è facile da realizzare. Ogni buon racconto giallo costruito secondo il classico modello deduttivo del whodunit è incentrato su un caso da risolvere che ha al centro un buco, un’informazione mancante, una tessera del mosaico nascosta dentro il mosaico stesso. Perciò, perché il buon racconto giallo riesca, occorre che alla fine quel buco venga riempito. Insomma una ciambella col buco (sul piano del racconto) senza buco (sul piano della storia). Proprio su questa ambiguità ridondante della metafora del buco gioca Cena con delitto – Knives Out di Rian Johnson (USA, 2019, 130’), presentato al Toronto Film Festival e riproposto nella sezione Festa Mobile del Torino Film Festival, attraverso le parole del personaggio che ha l’incarico di rimuovere il buco della storia perché riesca il buco della ciambella-racconto: il detective Benoit Blanc, interpretato da un sornionissimo Daniel Craig, che si aggira alla ricerca della tessera mancante in un’enorme e sovraccarica casa neogotica (per i cinefili immancabile da Psycho in poi, in verità risalente al tardosettecentesco gothic novel), proprietà di un ricchissimo scrittore americano di romanzi gialli, morto la sera del suo 85° compleanno, dopo una festa a cui ha partecipato tutta la famiglia (con il topico campionario di varia umanità: i figli avidi, smidollati, complessati, la governante ricattatrice, l’infermiera di buon cuore, ecc.).

 

 

Il caso è quello classico di un apparente suicidio, mentre tutti sembrano avere un movente per l’omicidio. Così sentiamo allusioni a precedenti classici e moderni del genere, tra discendenti seri di Agatha Christie e parodie, come Signori, il delitto è servito, Assassinio sull’Orient Express, Otto donne e un mistero ecc. Con una spruzzata di Gosford Park, cui si ispira la linea di analisi sociologica del film, in una rilettura francamente (anti?)trumpiana, in cui il rapporto tra classi, tra padroni e servi, è anche quello tra residenti e immigrati: l’infermiera è figlia di una clandestina e i WASP per cui lavora, che lodano la sua bontà dicendole in continuazione che è una di famiglia, ignorano la sua provenienza, chiamandola indistintamente equadoregna, messicana, brasiliana ecc. Jamie Lee Curtis, Christopher Plummer, Don Johnson, Toni Collette, Chris Evans gigioneggiano, mentre Ana de Armas gioca tutte le carte della fanciulla virtuosa perseguitata. Il risultato è un film scritto assai bene e assai bene girato, dove tutto e tutti ruotano attorno al predetto buco, in un movimento sincronizzato così precisamente che a tratti ci dimentichiamo che si tratta dell’ennesimo divertissement hollywoodiano realizzato rifacendo modelli del passato. A tratti l’attrazione del vuoto si fa leggera, a tratti la nostra voglia di addentare la ciambella è così forte che il nostro palato passa oltre l’Incertezza del suo sapore. Segno che a Hollywood, come nei coloratissimi negozi Dunkin’ Donuts, come nel dilagante foodporn di Instagram, si mangia/gode solo con gli occhi.