FESCAAAL 2021 – Lina from Lima, di María Paz González, commedia pop che getta una luce iridata sulla migrazione

Che lo stato di salute del cinema cileno fosse buono lo aveva certificato, ormai in verità qualche anno fa, il festival di Pesaro, che aveva proposto al suo pubblico una nutrita retrospettiva di cinema cileno e una nutrita schiera di ospiti (tutti maschi in verità) di giovani (all’epoca) autori a testimonianza di una rinascita di quella cinematografia, che scrollatosi di dosso il peso esistenziale di una dittatura, aveva voglia di parlare d’altro. Ma lo testimoniano anche le incursioni che il cinema cileno continua a fare nelle occasioni festivaliere europee, e occasionalmente anche con qualche miracoloso passaggio in sala con i suoi autori di punta come Patricio Guzmán, Pablo Larrain e Sebastian Lelio, tanto per citare i più famosi, quelli che più facilmente sono visibili dal grande pubblico. In Concorso  nella sezione Donne sull’orlo di cambiare il mondo, dedicata al talento femminile, il Festival di Milano propone il film di María Paz González Lina from Lima, esordio nella fiction per la regista cilena dedita soprattutto alla produzione e alla scrittura di sceneggiature e, salvo errori, fino adesso autrice di un altro film, oltre a questo in rassegna a Milano, dal titolo Hija,che racconta in un registro a metà tra la fiction e il documentario, un viaggio di madre e figlia attraverso il Cile. È pertanto attenta la quarantenne regista cilena ad approfondire i temi femminili, anche Lina from Lima nasce da queste istanze, ma qui coesiste con la necessità di guardare al mondo delle donne il tema di fondo della migrazione, delle donne che migrano per lavoro. Sotto questo profilo, risultano paradigmatiche le sue dichiarazioni a proposito del film: “Volevo immergermi nelle storie delle donne migranti che ammiro moltissimo per la loro forza incredibile. Ho scoperto donne che non hanno tempo di lamentarsi. Questo mi ha spinto a volerle raccontare con la giusta dignità”.

 

 

Lina from Lima, come sinteticamente racconta il titolo, è la storia di una settimana o poco meno della vita di Lina, peruviana, emigrata in Cile per lavorare. Lina è una donna giovane e piacente, che non disdegna incontri sessuali occasionali, è separata e a Lima ha un figlio che gioca al calcio. Si avvicina il Natale e lei si appresta a tornare a casa per le festività. Lina sovrintende alla villa con piscina che sta per essere consegnata alla benestante famiglia cilena presso la quale lavora. Un piccolo incidente, provocato dalla sua distrazione, la obbliga a risarcire il fanno provocato e le impedisce di potere trascorrere le festività natalizie con i figli. Ma Lina capisce anche che è forse arrivato per lei il momento di aprirsi ad una nuova vita. Se un termine c’è per definire questa divertente commedia quello è pop, infarcita com’è di divertenti e surreali inserti di canzoni e balletti dei quali la stessa Lina, prendendo a prestito una ricorrente iconografia cattolica di stampo tipicamente sudamericano, diventa protagonista, e una volta con i suoi boys ammiratori o sdoppiandosi per essere fronteggiata dalla sua coscienza che la sprona al coraggio, fa risaltare le proprie scelte o le proprie incertezze. In queste pause sono tradotti gli incantamenti della protagonista che fanno riferimento a quell’immaginario che costantemente la accompagna, un immaginario anche salvifico che diventa espediente narrativo nell’esile, ma piacevole, racconto delle giornate della donna fatte di telefonate con il figlio, molto interessato ad avere in regalo la costosa maglia originale di Messi, o di altri acquisti per i regali natalizi, desideri sessuali, complicità con la figlia dei suoi datori di lavoro con la quale instaura un rapporto di maternità/sorellanza.

 

 

Ne deriva un film elegante e piacevole una commedia per l’appunto pop che sembra volere affrontare in modo differente e anche piacevolmente divertente, il tema sempre cupo dell’emigrazione. Pur avendo lasciato sullo sfondo quel disagio della migrazione che anche Lina sente nella sua condizione di donna di servizio, il film finisce per raccontare di un personaggio, solido e consapevole del proprio ruolo, ma anche delle proprie potenzialità, con immediatezza e una sempre vivace interpretazione della sua protagonista, Magaly Solier. Protagonista assoluta della scena in un film declinato esclusivamente al femminile, nel quale il mondo sembra guardato attraverso un filtro benevolo e un moderato ottimismo, che deriva da quel coraggio di cui parla la sua regista, che ha gettato con il suo film una piccola luce iridata su un tema sempre rabbuiato da un clima minaccioso.