Cannes78 – Il nazismo ad altezza di bambino in Amrum di Fatih Akin

Guerra vuol dire fame: nella prima scena di Amrum si seminano di nuovo le patate, perché non c’è molto altro da mangiare. È il 1945, alla vigilia della caduta del Terzo Reich, e tutti – sostenitori e oppositori del nazismo – sono accomunati dalla spasmodica ricerca di cibo. La piccola isola di Amrum fa parte dell’arcipelago delle Frisone, nel Mare del Nord. Un paesaggio tedesco inedito, quasi lunare, una lingua di terra di pescatori. Ma anche un mondo rurale chiuso, a sé stante, dove molti, come la contadina Tessa (Diane Kruger), prendono nettamente le distanze dai connazionali sedotti dal Führer. Tra loro, anche Hille (Laura Tonke), madre del dodicenne Nanning, un marito ufficiale in guerra, che alla notizia della morte di Hitler si annienta a letto, depressa. Il ragazzo si angustia per lei, che ad Amburgo, da dove la loro famiglia ricca e istruita proviene, era abituata a pane bianco, burro e miele. La sua ricerca di questi beni ormai rari si articola in una catena di baratto che cresce come una piccola saga avventurosa, circoscritta in un contesto ben più drammatico. Nella sua divisa della Hitler Jugend, il biondo Fanning, da piccolo mainlander, figlio della terraferma, impara da bambino, attraverso la comunità che lo nutre, il valore del lavoro, della solidarietà e il prezzo che ogni conflitto impone ai civili. Oltre alla fame, la necessità di lasciare la propria casa, e la differenza tra ciò che chiamiamo “casa” e la linea di sangue, la discendenza.

 

 

È un racconto molto classico e insieme sorprendente, questo ultimo esito di Akin, turco naturalizzato tedesco e habitué di Cannes, che abbiamo amato per i film come Ai confini del Paradiso e Soul Kitchen. Prodotto dalla Bombero di Akin con Warner Bros, Amrum arriva in Cannes Prèmiere otto anni dopo Oltre la notte (Palma d’oro per Kruger nel 2017) e si annuncia come “un film di Hank Bohm diretto da Fatih Akin”: il secondo ha cioè “ereditato” la regia in origine destinata al primo (come Enzo, alla Quinzaine, portato a termine da Robin Campillo ma concepito dallo scomparso Laurent Cantet). Classe 1939, Hark Bohm è un regista, sceneggiatore e attore tedesco che ha attraversato molte stagioni del cinema tedesco, da Fassbinder a Von Trotta e nell’autobiografico Amrum ha raccontato la sua infanzia. Leggendo la sceneggiatura che ne ha tratto, Akin l’ha subito associata a Sciuscià e Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, e in effetti il protagonista esordiente Jasper Billerbeck, di una fotogenia innata, scoperto in una scuola di vela, ricorda non poco Enzo Staiola, il Bruno di Ladri di biciclette. Al di là delle somiglianze, in questo film essenziale, di una poetica semplicità, risuonano molto, dichiarati, anche Stand by Me – Ricordi di un’estate di Bob Reiner e ancora prima La morte corre sul fiume di Charles Laughton: anche perché le presenze animali (un coniglio, delle galline, un’oca, dei pesci, persino una foca…) hanno quasi lo stesso peso di quelle umane, in una lotta alla sopravvivenza che rievoca Grandi speranze di Dickens così come il citato Moby Dick, il romanzo epico che Nanning presta all’amico Hermann, mentre lo spirito di Hemingway riecheggia anche nei riferimenti ai tanti cacciatori di balene emigrati dall’isola negli Stati Uniti. Come molti film recenti, la rimessa in scena del Novecento di Amrum scaturisce dall’allarme per le ciniche derive razziste e xenofobe del presente. La Storia non fa che manifestarsi di nuovo come lotta tra gli ultimi: come dimostra la doppia sequenza tra Nanning e i coetanei profughi polacchi, di un’attualità che lascia sgomenti.