Cannes78 – L’accumulo emotivo di Woman and Child di Saeed Roustaee

Mahnaz ha quarant’anni, è vedova (anche se la sparizione del marito non viene mai sottolineata) e lavora come infermiera in un ospedale della città. A casa divide il poco tempo che le avanza con la madre, la sorella e i due figli, l’irrequieto adolescente Aliyar e la più piccola e pacata Neda. Mahnaz frequenta Hamid, un conducente di ambulanze con il sorriso sempre pronto e una certa fretta di sposarsi. Mahnaz vuole prendere tempo, la situazione le andrebbe bene così com’è, ma è propensa ad assecondare l’uomo che dice di amarla. Quando la donna si convince a fare il grande passo, una sfortunata serie di eventi scatena la tragedia mentre Hamid si avvicina pericolosamente a sua sorella minore, Mehri. La slavina emotiva è devastante: i due bambini, affidati nella fase prematrimoniale al suocero e alla cognata, sembrano spauriti. Aliyar viene espulso da scuola e poi, in circostante non chiare, cade dalla finestra e muore. È stato spinto? Si è buttato e, se lo ha fatto, perché? Abbandonata frettolosamente dall’inaffidabile Hamid, Mahnaz si ritrova da sola ad affrontare quel lutto indicibile, ferma e decisa a trovare attorno a sé colpe e responsabilità.

 

 
Saeed Roustaee torna a Cannes tre anni dopo il magnifico Leila e i suoi fratelli e decide di scandagliare le colpe e le responsabilità del patriarcato diffuso nella società iraniana ribaltandone l’assunto. Se lì Leila era l’unica donna responsabile in un effimero e narcisista mondo maschile, qui Mahnaz vive in una sorta di gineceo costruito apparentemente su basi concrete di solidarietà e sorellanza. Sembra una famiglia felice e realizzata quella di Mahnaz, nonostante il peso di dolori passati che si sciolgono in un quotidiano solido e scandito, fino a quando tutto inizia a sgretolarsi. Woman and Child è il racconto di quella lotta strenua e stremata alla sofferenza, di quella voglia di non arrendersi alle motivazioni superficiali incapaci di curare ferite così profonde. Roustaee si concentra sulla determinazione di quella donna, improvvisamente sola, che per vivere ha bisogno di crearsi un nemico. Mahnaz indaga sulle ragioni non chiarissime dell’espulsione scolastica, sulle dinamiche incerte della tragedia, interrogando – quasi aggredendo – i suoi interlocutori, spietatamente uomini. Ma anche la solidità familiare, il nido costruito che si pensava inattaccabile, mostra le sue crepe. Il rapporto con la madre e la sorella si fa via via più teso, carico di doppi significati, lasciando sullo sfondo la sofferenza sempre più in solitudine della figlia Neda. Il problema, in Woman and Child, è che la seconda parte del film si configura come una sequenza ininterrotta di scene madri, un botta e risposta che concentrandosi sul dolore perde di vista la compiutezza della narrazione. Il lavoro di Roustaee, preciso come sempre nel rivelare i sentimenti dei personaggi attraverso dialoghi interminabili e cristallini, a tratti perde smalto e credibilità, perso negli occhi lucidi e nello sguardo fiero della sua protagonista.

 

 
Mahnaz non cerca ragione, cerca giustizia e in questo suo percorso è sola: contro le responsabilità delle istituzioni scolastiche, contro l’anaffettività della legge, contro le regole autoimposte dello stesso nucleo familiare. Mahnaz sembra accorgersi all’improvviso di essere una donna sola contro il mondo e non sempre la sceneggiatura vagamente ingarbugliata coglie questa sua ricerca di senso. L’ineluttabile accade e non sempre la strada più razionale consiste nella ricerca di un immaginario colpevole. Con un incedere tendente all’accumulo emotivo, Roustaee tratteggia il percorso di impossibile redenzione di una mater dolorosa a cui nessuno però restituirà il figlio. L’atteggiamento paternalistico di ogni personaggio maschile – più o meno violento, più o meno tossico – la lascia in uno stato che è una via di mezzo tra delusione e impotenza. Woman and Child è, paradossalmente, un film più apertamente politico – soprattutto riguardo al discorso di genere – di Leila e i suoi fratelli. Allo stesso tempo però appare più sfocato e irrisolto, come se una vaga ansia da prestazione determinasse e caratterizzasse le scelte più strettamente cinematografiche, più urlate e meno ragionate. Il dolore di Mahnaz è, in fondo, l’unico termometro emotivo del film e nei suoi panni, per quanto dolenti e strazianti, riusciamo (noi, il pubblico) a starci avvertendo una qualche forma di disagio. Con il suo finale ipercostruito di specchi e riflessi, di sentimenti a fior di pelle e di emozioni trattenute, Woman and Child è un film più assertivo che compiuto, testimone di un cinema essenziale ma con che manifesta più di un problema di compattezza ed efficacia.