Santocielo di Francesco Amato, l’antinatalizio racconto del duo comico siciliano

Il confronto di Ficarra e Picone con il sacro era cominciato nel 2019 con Il primo Natale una storia che ricalcando l’equivoco e del tutto casuale viaggio nel tempo, già proposto dalla formidabile e irripetibile coppia Benigni-Troisi, rifletteva in modo originale sulla Natività. Una vicenda sacra che nelle loro mani diventava soggetto di una iconografia ben differente da quella corrente che in questo periodo dell’anno imperversa in ogni sua versione idilliaca ben lontana da un mondo che sembra, invece, volerci spingere verso altre e differenti eventi che nulla hanno a che vedere con il sacro della Palestina di oltre duemila anni fa. Non è del tutto detto che proprio da queste diffuse riflessioni sia nato il film natalizio con la regia di Francesco Amato e con la coppia dei comici siciliani, in verità attenti ad un contesto sempre in atto come testimonia la loro ormai nutrita filmografia. Si comincia con Giovanni, del famoso trio milanese, che impersona un Dio un po’ in difficoltà tenuto conto della democratizzazione del Paradiso per cui le decisioni adesso vanno prese in assemblea e non più decise dal Dio solo al comando. Il problema di cui si discute, vista la misera condizione della Terra e la cattiveria degli uomini, è se mandare un altro diluvio universale o un nuovo il Messia. Le proposte vengono messe ai voti e per un voto vince quella che prevede la seconda ipotesi. Un anonimo angelo, con la fissa del canto dei cherubini, che si chiama Aristide (Valentino Picone), addetto all’ufficio smistamento delle preghiere, si offre volontario per il viaggio sulla Terra alla ricerca della nuova Maria da scegliere per dare alla luce il figlio. La sua mano, trattata con una speciale acqua santa, al solo tocco diventerà fonte di fecondità. Si dà il caso che sulla Terra il prof. Nicola Balistreri (Salvo Ficarra), che insegna in una scuola cattolica, si sia separato dalla moglie (Barbara Ronchi).
 
 

 
I due si conosceranno e per una serie di equivoci e in una vicenda tutt’altro che narrativamente semplice, quanto invece piena di anfratti e brevi digressioni, diventeranno amici. Il nuovo Messia nascerà, ma saranno molte le sorprese e molti i conti in sospeso che il racconto lascia aperti. Forse l’unico punto debole del film, che per il resto conferma la buona vena e l’affiatamento del duo comico siciliano, che trasversalmente sembra sottolineare è quello di avere molti, troppi punta di fuga in una narrazione davvero insolitamente articolata e complessa, che da sola, ove raccontata nel suo svolgersi, avrebbe occupato buonissima parte dello spazio disponibile. Un racconto che contiene molte questioni e il film vuole in questa direzione offrire spunti critici, ironici, satirici e comici a molti oggetti del dibattito che animano il rapporto tra Chiesa e sessualità, Chiesa e celibato, unioni civili, separazioni e molto altro. Da qui la complessità di un film che spetta allo spettatore decifrare passo per passo, battuta per battuta. Dalla citazione di Wilder sulla impossibile perfezione umana, quasi a decretare una propria discendenza, alla filiazione messianica del tutto anomala e imprevista, all’irrisolto rapporto d’amore tra l’angelo Aristide e la suora Luisa (Maria Chiara Giannetta) e per finire – ma si potrebbe continuare – all’anomala gravidanza raccontata, che da un certo punto in poi diventa il leit motiv del film.
 
 

 
Ecco dunque che Amato e i suoi sceneggiatori, tra i quali anche i due protagonisti, hanno forse esagerato nel caricare il film, di troppe responsabilità, delegando ad un racconto che si fa complicato la soluzione dei temi di un dibattito culturale che tra teologi e filosofi coinvolge le alte sfere del cattolicesimo. Ma provando a semplificare, tagliando corto sulla questione narrativa che poi in fondo regge, a volte con un po’ di fatica, ma regge, Ficarra e Picone – in una necessaria personalizzazione del film, in fondo a loro riconducibile – ci pare che abbastanza silenziosamente stiano lavorando quasi sotterraneamente per scardinare passo passo, luoghi comuni, leggende metropolitane e pensiero anti progressista, con una certa alacrità e anche una certa efficacia. Sarebbe infatti un errore, al di là della vicenda gestatoria e della nascita del nuovo Messia, scambiare questo film per un film solo natalizio, anzi diremmo che per certi aspetti Santocielo diventa un film anti natalizio, se si vuole indicare per natalizio un film accomodante e pieno di certezze consolidate, dentro uno stabile mainstream. Non è un caso che proprio per questa sua carica sottilmente antagonista nei confronti di alcuni dogmi della Chiesa, che soprattutto hanno a che fare con la sfera sessuale e di relazioni con l’altro sesso, il film sia stato non del tutto ben accetto dall’apparato clericale, il che in fondo costituisce una spia accesa sulla centratura del bersaglio, per un film che vuole consolidare una tradizione che appartiene al cinema italiano secondo la quale le verità è meglio dirle secondo il registro comico, passano prima, hanno più efficacia e restano nella memoria dello spettatore molto più a lungo che quelle dette secondo un modello di serietà e austera recitazione. In altre parole con il comico si lavora in quel subliminale proprio di quel territorio, riuscendo ad implementare la veicolazione di messaggi che come le lettere che arrivano in Paradiso, trovano, bene o male, un loro destinatario, fosse anche solo il loro spettatore. Ficarra e Picone lo hanno capito da tempo e il loro film coraggioso quanto basta e perversamente anti natalizio diventa uno dei pezzi forti delle sale per queste festività. Anche questi sono misteri sui quali riflettere.