Sole, cuore e amore – Thor: Love and Thunder, di Taika Waititi

Possiamo dirlo senza troppi timori: la fase 4 del Marvel Cinematic Universe sta facendo molta fatica a trovare la sua strada. Forse perché sente sulle spalle il peso dell’epica conclusione dei film che l’hanno preceduta, forse perché mamma Disney si è maggiormente concentrata a sondare le potenzialità dello streaming a discapito della sala, forse perché dopo oltre una decade di progetti coesi e coerenti, ora la via da intraprendere risulta meno chiara e nitida del previsto. Thor: Love and Thunder (da qui in avanti Thor 4) è l’ennesima conferma di questo spaesamento ma incarna allo stesso tempo anche uno dei tasselli più liberi, interessanti e, perché no, autoriali dell’intero MCU. A ben vedere però, proprio le avventure del dio del tuono, giunto qui al quarto capitolo della sua saga personale, erano già state al centro di una connotazione diversa, più incentrata sul tatto e i gusti del regista che mirata all’omologazione del franchise. Il primissimo episodio, infatti, venne diretto da Kenneth Branagh, il quale non esitò a ibridare le tavole a fumetti con un’aura shakespeariana a lui tanto cara. La mano di Branagh si intravedeva eccome dietro gli effetti speciali, proprio come ora lo sguardo di Waititi diventa il vero protagonista della saga. Thor 4, come il precedente Thor: Ragnarok (sempre di Waititi, 2017) è un film fuori forma(to), similmente al suo protagonista all’inizio del racconto, costretto poi a ritrovare il fisico che gli compete.

 

 

Senza badare minimamente ad eccessi, cambi di tono o una sorta di lesa maestà implicita nei confronti del personaggio e dell’universo da lui abitato, Waititi firma un progetto pienamente calato nelle sue corde in cui non ha paura di anteporre la sua cifra stilistica a un brand così consolidato. Se Ragnarok era quindi una sorta di antipasto, Love and Thunder ne è una conferma: non c’è serie televisiva o Raimi che tenga, la vera terra fertile e malleabile in casa Marvel è quella del figlio di Odino. Così, da una compostezza seriosa e pedante che possiamo ironicamente rivedere nel bianco e nero di un villain drammaturgicamente complesso e, per questo motivo, “vecchio”, il nuovo, fresco, prestante e coloratissimo mondo di Waititi irrompe sulla scena con tutto il suo carisma e la sua piacioneria. Thor 4 corre su binari tutti suoi: si avvale di effetti speciali ampiamente opinabili, non rinuncia al no sense, porta in scena sequenze d’azione ben lontane dai fasti lirici e retorici a cui eravamo abituati e scherza su tutto, cercando sempre di smitizzare e sgonfiare l’alone di sacralità che connota tanto il suo protagonista quanto la saga in cui si muove inneggiando a un amore senza confini tematizzando con il tatto di una spensierata e passeggera hit estiva. Detto questo, non stiamo certamente parlando di un film particolarmente riuscito da un punto di vista cinematografico, né di qualcosa di memorabile o assolutamente imperdibile. Chi non gradisce i cinecomics e/o il mondo dei supereroi certamente non si ricrederà grazie a Thor 4. Resta tuttavia importante notare come il cambiamento da tutti atteso e augurato si sia verificato e con un’idea ben precisa. Sta poi a ogni spettatore valutare se in bene o in male.