Su Prime Video, nel Bliss di Mike Cahill, Owen Wilson è l’antieroe smarrito tra illusione e realtà

È uno strano regista Mike Cahill, in bilico tra voce personale e di riporto, tra sottrazione e addizione degli elementi al di qua dei significati in eccesso, tra personaggi contratti e realtà espanse, scritture programmatiche e sprechi affascinanti, spunti stimolanti e figure blande. Come se ogni volta sembrasse credere al cinema come territorio del simbolico, come imperfezione necessaria, come luogo di un reale impossibile e di un possibile irreale, campo del doppio e dell’incerto, ma senza l’adesione  plastica del visionario, piuttosto con una vocazione inquietamente protesa, in fondo, al ripiegamento concettuale, alla narrazione diafana, alla forma irretita dal racconto e viceversa. Come se non riuscisse a pervenire a una sintesi, proprio perché alla base l’attrito tra le cose – da dissimulare, da dire –  appare intermittente. Bliss (prodotto da Amazon Studios e in streaming su Prime Video), terzo lungometraggio fiction del cineasta americano, sembra essere una summa, ma forse è la somma dei precedenti Another Earth e I Origins (e questa volta non c’è però l’apporto autoriale e attoriale di Brit Marling). Una seconda Terra; l’occhio umano. L’ossessione di una ragazza colpevole di una tragedia familiare nel primo; l’ossessione di un biologo molecolare nell’altro. L’identità come spazio dell’ignoto, l’amore come traiettoria imprendibile.

 

 

Bliss entra nel solco dei due film e accresce le ambizioni, omaggia Matrix e affida un cameo a Žižek che interpreta Žižek, mette in contrasto un mondo reale e un mondo fittizio, ologrammi e figure, cristalli magici e superpoteri temporanei,  stipula il sentimento tra i personaggi interpretati da Owen Wilson e Salma Hayek. Un uomo infelice – con un matrimonio fallito, una figlia che lo cerca, un lavoro che perde, un involontario omicidio – dentro un film sulla ricerca della felicità; una donna – in un mondo è una senzatetto, nell’altro una scienziata – e le sue teorie su realtà vera e realtà simulata in un film dove per la prima volta il regista guarda alla fantascienza come genere, quando invece in passato era quasi una questione interiore, il tappeto esistenziale, “privato”,  delle sue storie, quasi una suggestione d’autore, a misura di racconto.  L’ambizione qui è maggiore, e se Hayek è una parossistica effrazione/involuzione, Wilson è il soggetto estraneo, lo “straniero”, già a partire dalle corde recitative dei due, dal loro corpo, prima ancora che dai loro ruoli. La scelta è azzeccata, lo svolgimento meno. Il test questa volta è più difficile, ma il gioco narrativo tra le parti  è un meccanismo che gira spesso a vuoto. Bliss accosta frammenti citazionistici e d’immaginario, di cultura pop e di colorate filosofie d’ordinanza, produce soggettività che restano oggetti, linee psicologiche  che si perdono, stanchi movimenti e snodi di sviluppo. Per il regista un’opera sui “diversi modi di guardare al mondo, con compassione ed empatia, opposti al giudicare”, ma è la drammaturgia a occludere lo sguardo, sono i personaggi che attraversano le immagini ma non si lasciano attraversare,  sono le soglie di entrate e d’uscita nel tempo del film, nella condizione percettiva dei protagonisti, nel dialogo debole tra generi e narrazioni di riferimento, a essere troppo strette. L’avventura resta inchiodata allo script, anche i tratti di levità ironica si intravedono ma non incidono, il sentimento è opaco, lo smarrimento è più delle idee che dei protagonisti. Bliss confonde perché confuso. Mike Cahill è un narratore visivo di talento ma un autore intermittente.