Venezia80 – Il Genio e la sua impossibile rappresentazione: Daaaaaali, di Quentin Dupieux

Il genio è per sua natura tanto stimolante quanto incontenibile: ancor più quando si nutre di sé stesso generando il Mito. Il caso di Salvador Dalì è esemplare in tal senso e Quentin Dupieux ne fa la base di partenza di una nuova ricognizione ironica sui paradossi del reale e della sua rappresentazione, presentata Fuori Concorso alla Mostra di Venezia 2023. Dai tempi del copertone assassino di Rubber, fino a quelli più recenti dei guerrieri sentai di Fumer fait tousser, il cinema di questo bizzarro regista francese continua infatti a proporsi come un susseguirsi di maschere con cui irridere e al contempo omaggiare la natura folle del mondo. Dupieux in questo senso si approccia a Dalì con un intento tanto programmatico quanto irresistibile: attraverso una dichiarata connessione con la “coscienza cosmica” del Maestro, il regista mette infatti in scena il senso di impotenza di una giornalista che non riuscirà mai a realizzare il suo film-ritratto del Genio, perché sempre soverchiata dall’intemperanza di quella che – giova ricordarlo – non è stata soltanto una mente brillante, ma anche una personalità che ha coltivato con pervicacia la propria natura iconica. Dupieux pertanto, da un lato cerca di restituire l’inafferrabilità dell’artista, ma al contempo prova a contenerla attraverso una struttura a vasi comunicanti, in cui sogno e verità si intrecciano, generando una sorta di “realtà aumentata” che è tale per la moltiplicazione del suo spunto. Come dire, Dalì uno e molteplice, così come è uomo e maschera di sé stesso.

 

 

Da qui la scelta di far interpretare il Genio a quattro attori diversi, che si avvicendano all’interno delle singole scene, con una recitazione perennemente sopra le righe che naturalmente ossequia la natura finzionale della maschera, pur nelle sue umorali e dunque umane reazioni. Si genera in tal modo una vertigine che la struttura meta-narrativa (in parte sogno nel sogno, in parte film nel film) esalta da par suo, rendendo il film al contempo tanto il frutto della frustrazione della ragione quanto il trionfo dell’invenzione surreale. Dupieux riesce in questo modo a comporre non tanto un omaggio (la fondazione Dalì è parte in causa del progetto), ma un film sull’impossibilità di contenere il soggetto, che trasmette però una forza ironica e divertita da opera che ha perfettamente centrato il suo obiettivo. E questo, probabilmente, non sarebbe dispiaciuto nemmeno allo stesso Dalì. Nota di merito, infine, per l’irresistibile colonna sonora, parte in causa del successo del film grazie a un tema principale, accattivante e indimenticabile, nonché onnipresente durante l’intera durata del film. L’ha composta Thomas Bangalte, ex componente dei Daft Punk. Quando si dice il genio, appunto…