Il punto e la linea. Here sta fermo, immobile nella sua prospettiva immutabile eppure mutabilissima, finita e infinitiva allo stesso tempo. Un po’ come la sua profondità di campo, astratta nella definizione digitale del profilmico, che c’è ma non c’è, pura scansione di layer che aprono finestre logiche, storiche, esistenziali in una tessitura narrativa che rifugge da qualsiasi logica organica, con un divenire diacronico, che contempli il processo progressivo, preferendo osservare la scena in maniera sincronica e sintetica… Here è il punto che nella filmografia di Robert Zemeckis gioca con la linea, che ovviamente è Forrest Gump, che era film cartesiano, orizzontale (la panchina, la corsa, l’attraversamento del paese, della Storia) e verticale (la foglia, ovviamente…), fisico tanto quanto Here è opera immateriale, incontenibile persino nella sua performance temporale applicata al luogo (unico) e ai corpi (multipli e molteplici), alle ere e alle storie…Here è qui ma non è ora, è sempre e forse è anche mai… Perché dissemina l’immanenza in una eternità prospettica che quanto più pone a vista il Tempo e lo Spazio, tanto più li annulla, mostrandoceli nella loro relatività (quanti qui e quanto ora ci sono? Ritorno al futuro…) e dunque nella loro assolutezza (ogni qui è un ora! Contact..). In Here il punto è la profondità di campo, che certamente è un Campo Totale, ma solo se focalizzi lo spazio al di qua della ampia vetrata e delle pareti che sono erette a vista nell’incipit…
Perché questo è un film che edifica la propria materia scenica come un luogo da enunciare, da dire nella sua esplicita funzione di cornice che contiene le singole storie (della famiglia Young soprattutto, ma anche, prima, degli Harter d’inizio XX Secolo, dei Beekman nei ’40 e dopo degli Harris, nel XXI Secolo). Ma contiene anche tutta la Storia (ere, secoli, anni…) se solo si allarga il campo al di là di quella finestra e di quel salone (la glaciazione, gli indigeni, Franklin…). La scelta stessa se guardare Here come la storia della casa che contiene la famiglia Young e tutte le altre che l’hanno abitata prima o la abiteranno dopo di loro, oppure come la storia degli Young e di tutti gli altri che vivono in quella casa… Sì, insomma, decidere se Here è un film di esistenti o eventi significa confrontarsi con una caratura del Cinema che ormai supera la norma dei suoi centotrenta anni di vita: Richard e Margareth sono gli spettri prigionieri di uno spazio dal quale non sanno e non possono uscire perché ne sono funzioni implicite. La loro traccia biografica coincide con quella esistenziale più o meno felice delle altre coppie che quello spazio hanno occupato o occuperanno. Il sogno di Margareth di vivere altrove è una chimera destinata a tradursi in realtà e convertirsi in amnesia, negazione del tempo, astrazione del ricordo, esattamente come il bisogno di Richard di cristallizzare nei suoi dipinti il tempo di quel luogo è destinato a essere negato dalla necessità di vivere, trovare un lavoro, avere una figlia, accudire i genitori… Le felicità, i sogni, i bisogni, le delusioni e i drammi che saranno incarnati dalle altre famiglie (il mito del volo di John Harter, la felicità dei Beekman con la loro poltrona reclinabile, le angosce da XXI Secolo dei neri Harris…) sono il corollario di una narrazione che non sfugge alla definizione imposta dalla materialità narrativa del luogo in cui è centrata la narrazione del film esattamente come un puntatore su una mappa: voi siete qui!
Per Zemeckis si tratta ovviamente di ridefinire lo spazio nella dimensione del tempo: sin dal titolo Here è un progetto magnificamente tautologico, dice se stesso e sta interamente nella sua idea, che desume dal graphic novel di Richard McGuire, ma che è anche profondamente, radicalmente, indiscutibilmente zemeckisiana: che il Tempo sia una questione fisica, di corpi e di luoghi che incidono il rapporto con ciò che siamo, facciamo, sogniamo è il principio stesso del cinema di Zemeckis. Così come fondamentale resta per lui l’idea che lo Spazio sia una raffigurazione del nostro rapporto con la dimensione temporale, con l’attraversamento dinamico delle nostre potenzialità, del divenire e dell’essere: la prospettiva spericolata adottata da Zemeckis in Here è esattamente quella di Philippe Petit, che in The Walk percorreva lo spazio vuoto a mezz’aria, in bilico su un cavo, incarnando il punto di fuga della propria prospettiva e guardando la realtà lungo la linea della profondità da percorrere, attraversare, vivere… Se Forrest Gump attraversava la Storia, Here è attraversato dalla Storia: la funzione complementare dei due film, ovviamente incarnata nella coppia Tom Hanks e Robin Wright, è ragione della visione zemeckisiana di una realtà incisa nella smaterializzazione della funzionalità logica degli eventi posti in (narr)azione. La panchina di Forrest Gump è luogo del dire il Tempo così come la casa di Here è luogo che il Tempo intende mostrarlo. L’idea è quella di un cinema che sta fermo in se stesso e guarda il mondo con spirito alla Muybridge, scandendo il dialogo tra ciò che è mobile e ciò che è immobile per trovare la via d’accesso alla verità della realtà e dell’essere: VOI SIETE QUI !