Il quinto lungometraggio diretto dal regista brasiliano Kleber Mendonça Filho è un tuffo negli anni Settanta (quando il paese viveva sotto dittatura militare) ed è la lunga fuga di un uomo sfuggente e carismatico al tempo stesso. O agente secreto (in Concorso a Cannes78) inizia con leggerezza a bordo di un’auto gialla e piena di valige, attraverso strade semideserte. Marcelo sta tornando nella sua cittadina natale, Recife, mentre il carnevale impazza sulle pagine dei giornali e in figure bizzarre che incontra lungo la strada. Segni premonitori ci dicono che siamo di fronte ad una storia di morte e violenza composta da molte facce e molti strati e che la verità è un concetto da interpretare con cura, come il gatto che ha letteralmente due teste, il conto delle vittime del carnevale che aumenta di ora in ora, e il cadavere alla stazione di servizio lasciato da giorni sotto il sole nell’indifferenza delle forze di polizia. Quella che vediamo, insomma, è una superficie ingannevole di vicende iniziate altrove e destinate a finire chissà dove. E infatti questa spy story anomala e dal risvolto puntualmente politico, ha come centro una casa dove trovano rifugio, come Marcelo, uomini e donne con un passato da nascondere, rifugiati protetti da anonimato destinati a sparire per sopravvivere.
Lentamente entriamo nella vita del protagonista e in quelle dei suoi compagni di destino, in una trama che si dipana a spirale, coinvolgendo archi temporali diversi, tra un passato remoto fatto di frammenti, un passato da ricomporre e un presente pieno di responsabilità. L’’agente segreto cui fa riferimento il titolo è il modo ironico e amaro di indicare il compito delicato del protagonista, un tempo professore universitario che non ha accettato il ricatto di un industriale senza scrupoli e che ora ha una taglia sulla testa e trova lavoro nell’ufficio preposto alle identificazioni. Il gangster movie si contamina con il cinema di denuncia, perché in un paese strangolato dalla corruzione e dall’ossessione del controllo, la criminalità affiora suo malgrado e prende le forme di uno squalo spiaggiato nel cui stomaco viene trovata la gamba recisa di un uomo. E mentre tutta la città ne parla, catalizzando l’attenzione, i malviventi corrono ai ripari per far scomparire anche questa prova della loro esistenza. Si tratta sempre di equilibrio tra tragedia e cinismo, tra dettagli svelati e misteri lasciati percepire. Kleber Mendonça Filho osserva tutto da una distanza di sicurezza, per restare al di qua dell’identificazione e dell’empatia, ma senza alcuna freddezza. Lascia al film lo spazio di elaborare la sua stessa complessità, ma evita scorciatoie didascaliche, anzi, sceglie la metafora come strumento per interrogare anche una realtà che non può essere cambiata.