Brucia come una ferita aperta la vita di Lidia, una cicatrice che si porta dietro dall’infanzia oscurata dalla presenza del classico padre frustrato e violento che ha abusato di lei fisicamente e sessualmente. Nelle pagine di La cronologia dell’acqua (Edizioni Nottetempo, pag.336, euro 17), Lidia è la protagonista di un percorso catartico che la scrittrice americana Lidia Yuknavitch affronta a cuore aperto. Ed è lì che Kristen Stewart l’ha trovata, presenza in frantumi da assumere nel corpo di un film che brucia di tensioni psicologiche ed esistenziali estreme: presentato al Certain Regard di Cannes78 , The Chronology of Water è il primo lungometraggio dell’attrice, intreccio di innocenza mancata e pulsioni esasperate, autolesionismo e autobiografismo traslato, ritratto in dannazione e santificazione a testa in giù…Kristen Stewart assume in sé ogni possibile traccia di sperimentalismo visivo, nulla di concettuale però, tutto è giocato nella sfera di un rimando percettivo ai turbamenti della protagonista. La linea biografica si radica nell’infanzia maledetta con la madre e la sorella maggiore e il padre orco. La passione del nuoto, che diventa anche pratica semiprofessionistica, è malvista dall’uomo frustrato che spadroneggia sul suo corpo. Per Lidia l’acqua è ovviamente un lavacro che alla fine dovrà dimenticare, intrappolata in una vita che, per quanto giovane, appare già (s)finita, sciupata in frequentazioni maschili affettive e autolesionistiche, usi e abusi di alcol, droghe e promiscuità varie. Kristen Stewart affida corpo e anima del suo film alla prestazione estrema e limpida di Imogen Poots, che usa la propria materia fisica e psicologica in immersione totale, benedicendo ogni fotogramma filmato.
Le poste della dannazione di Lidia sono sgranate come un rosario dalla regista affrontando sia lo schema narrativo che la pulsione espressiva: il primo segue un andamento franto, alternando la dimensione soggettiva dei ricordi a quella oggettiva dell’esposizione; la seconda è un flusso di coscienza che non supera mai la soglia della sperimentazione pura, anche se la fotografia di Corey C. Waters incede in trasfigurazioni visuali piuttosto interessanti. The Chronology of Water è un’opera prima che ha tutta l’urgenza psicofisica del cinema realizzato da attori che assume la regia come in scena assumono un personaggio, vivendolo da dentro, senza filtro. Kristen Stewart incarna nel film tutte le sue pulsioni d’attrice e di star, la naturalezza con cui esprime la sua presenza carismatica. La storia di questa bambina che diventa donna nel dolore è una parabola di femminilità liberata, ma è anche una prova di cinema che, nella sua immediatezza, scortica le maniere e si fa carico di una sporca ribellione senza obiettivo. Alla Stewart non si più certo rimproverare la maniera, il suo coraggio è fuor di discussione e probabilmente nel Concorso di Cannes 78 avrebbe meritato il posto invece andato al ben più formalista prova di Linne Ramsey, Die My Love.