Scorci di quotidianità in forma di musical, o qualcosa del genere: l’approccio alla commedia di Amélie Bonnin sta tra il sentimentale e il realistico, tenendo insieme le intuizioni che avevano fatto apprezzare (e premiare ai Cèsar) nel 2021 l’omonimo cortometraggio da cui Partir un jour è ora tratto. Chiamato (inopportunamente!) ad aprire Cannes 78, questo suo primo lungometraggio è un’opera che lascia poco spazio alla fantasia, limite non da poco per un musical soprattutto se non si ha la forza di trasformarlo in una vera e propria misura estetica. Amélie Bonnin si tiene sui moduli narrativi di un realismo basso, parla di persone comuni alle prese con gli slittamenti dei sentimenti sul piano inclinato di esistenze sospese tra attese e delusioni come tra città e provincia. Parigi è sullo sfondo della vita di Cécile, ragazza di provincia che s’è lasciata alle spalle il ristorante dei genitori per realizzare nella capitale il sogno di aprire un locale tutto suo. La Bonnin si affida alla spigolosa simpatia di Juliette Armanet per costruire un personaggio femminile che svicola dalla graziosità di routine e trova una sua verità imbronciata nel rapporto con il compagno, Sofiane.
Poco spazio per le smancerie, ma l’attacco musicale parte subito su “Allor on danse” di Stromae cantato e ballato in versione domestica, palesando le intenzioni dal basso della regista, destinate a confrontarsi del resto con un rapido spostamento di scena in provincia. L’ennesimo infarto del padre costringe infatti Cécile a tornare a casa e ritrovare non solo il vecchio ristorante in cui è cresciuta la sua ambizione, ma anche gli amici coi quali ha condiviso la gioventù e pure qualcosa di più. Il tutto senza dimenticare che nella prima scena del film abbiamo scoperto assieme alla protagonista che è incinta, cosa che la contraria non poco e che tiene nascosta a Sofiane. Tra un litigio col padre testardo, una confidenza con la madre che ben prima di lei ha rinunciato ai propri sogni e una serata e l’altra con gli amici, riemerge il dimenticato amore per Raphael, il più ganzo del gruppo, che intanto è a sua volta marito e padre d’un figlio.
Incertezze e situazioni difficili seguono, senza per questo che Partir un jour prenda mai la strada del dramma, anzi tenendolo ben saldo nella sfera di una commedia umana in cui i caratteri sono ben codificati e le situazioni corrispondono a modelli stabiliti. L’intreccio si spinge nella questione della gravidanza che Cécile vorrebbe interrompere e diventa il secondo nodo della sua crisi con Sofiane, che va ad aggiungersi alla questione sentimentale riaperta con Raphael. In tutto questo Amélie Bonnin ruota con semplicità attorno alle argomentazioni, cerca forse un po’ troppo la tematizzazione di genere, insistendo sullo sfasamento di attese sulla gravidanza tra la protagonista e il suo compagno. Intanto il versante romantico offerto dal sogno di un ritrovato amore giovanile lavora alle costole il musical, che però si accende raramente in numeri destinati a restare. Un po’ come tutto il film, che non si concede mai il piacere di un’accensione fantastica ma non trova mai davvero la forza di restare attaccato al suolo, alla verità di personaggi che pure partono dal basso. C’è sincerità, c’è sentimento, c’è anche una bella simpatia ruvida nel lavorare sui personaggi, ma manca l’empatia e latita l’istinto. Non è certo un prodotto pensato a tavolino, ma non è nemmeno un flusso libero di verità riscoperte.