Tutta l’assurdità dell’America: a Cannes78 Eddington di Ari Aster

È un cinema concentrico quello di Ari Aster, gira in tondo definendo un perimetro in cui delitto e castigo sono la doppia faccia della stessa moneta bucata, quella con cui si paga l’ingresso nel circolo chiuso della famiglia, del quartiere o magari della società e del mondo intero. L’istinto della sopravvivenza è una specie di malattia virale che contagia i suoi protagonisti e sfalsa le coordinate della loro realtà, spingendoli in incubi che si rivelano autentici: Hereditary resta il paradigma fondativo e l’esito al momento migliore del suo cinema, protrattosi poi nel folkhorror Midsommar e nel grottesco paranoide di Beau ha paura, arrivando ora a questo Eddington col quale Ari Aster si presenta in Concorso a Cannes78. Il corpo ingombrante e distratto di Joaquin Phoenix torna a occupare la scena, questa volta con una cadenza che ribalta la passività del disfunzionale Beau nella disfunzionalità al potere rappresentato qui da Joe Cross, sceriffo di Eddington, la cittadina del New Mexico in cui si concentra l’azione. La datazione degli eventi rimanda ai giorni della pandemia, vero e proprio concentrato di paranoia da mascherina, distanza di sicurezza e complottismo vario, cui si aggiunge la tensione sociale crescente a sostegno del movimento Black Lives Matter.

 

 

Ma non è tutto, perché il vero nodo del dramma grottesco che sta per inscenarsi sta nelle imminenti elezioni per il rinnovo della carica di sindaco della non troppo pacifica cittadina: in carica c’è il messicano Ted Garcia, col quale lo sceriffo Cross va così poco d’accordo (per motivi squisitamente personali) da finire per candidarsi lui stesso, innescando una campagna sui social basata su dichiarazioni estreme di intolleranza, menzogna e violenza verbale che prenderà sempre più piede e si allargherà a macchia d’olio, coinvolgendo tutta la comunità. Ovviamente nello specchietto del film si riflettono i giochi cubitali delle Presidenziali americane, ma tutto sommato l’impressione che si ha vedendo Eddington è che Ari Aster pensasse in maniera più sistemica e cercasse soprattutto di elaborare un pensiero astratto su questioni molto concrete. L’approccio grottesco tende a far lievitare il senso dell’assurdo che la realtà offre quotidianamente, ma va detto che nell’insieme Eddington tende a confondere le carte e a avvitarsi su se stesso, perdendo il contatto con l’idea di partenza. Lo scarto tra la prima e la seconda parte è netto e non è facile decidere se funziona di più la prima, in cui Aster tende a sistemare gli elementi sulla scena, o la seconda, in cui la deflagrazione della tensione accumulata prende derive narrative più precise ma anche rischia di confondere gli elementi in gioco. Il risultato è impreciso, nutre ambizioni che si trasformano in presunzione ma anche tante idee che lavorano adeguatamente sino a quando la struttura regge. La durata non aiuta e alla fine si faticherebbe a tenere insieme gli elementi se non fosse per la presenza di Joaquin Phoenix, che come sempre governa ogni scena in cui figura e proietta un senso estremamente concreto anche sui personaggi più astratti o grotteschi che interpreta.