Cannes78 – Finzione e famiglia in Sentimental Value di Joachim Trier

Una villa in stile Dragestil, a Oslo, dai toni marrone scuro, rosso e verde. È la casa che ha ospitato diverse generazioni di una stessa famiglia. Dentro quest’architettura dai toni fiabeschi si tiene la commemorazione per la morte di Sissel, madre delle sorelle Nora (Renate Reinsve) e Agnes (Inga Ibsdotter Lilleaas). Ormai adulte, vedono comparire all’improvviso il padre Gustav (Stellan Skarsgård), scomparso da casa dopo la separazione dalla moglie. Regista cinematografico inattivo da anni, Gustav ha in mente di girare un nuovo film, scritto per essere interpretato da Nora, che rifiuta seccamente la proposta. Il rapporto lei e il padre, un seduttore nato, si è deteriorato molto tempo prima. Celebrato da una retrospettiva al Festival di Deauville, Gustav coinvolge allora l’attrice statunitense Rachel (Elle Fanning), entusiasta di lavorare con lui e ansiosa di sapere di più del personaggio, che il regista nega sia ispirato alla propria madre. Intanto, protagonista a teatro di Il gabbiano di Cechov, Nora ha crisi di panico quando va in scena. Eppure, a differenza di Agnes, che ha avuto solo un piccolo ruolo in un vecchio film del padre e ora insegna all’università, per lei, che fin da piccola trovava più interessanti le vite degli altri della propria, la recitazione è senz’altro la vocazione. 

 

 

Una casa da rinnovare, un film da girare. Le due imprese si rincorrono e in modi imperfetti sfociano in Sentimental Value, sesto film di Joachim Trier, scoperto da Cannes dall’esordio Reprise (2006) e che a sua volta ha fatto scoprire agli spettatori Renate Reinsve, Palma d’oro per la miglior interpretazione femminile nel 2021 per l’esplosivo La persona peggiore del mondo. La sua Nora, che evoca naturalmente Casa di bambola di Ibsen, sembra in parte una continuazione di quella Julie, su cui si prende una sottile rivalsa il suo compagno di palco Jakob (Andersen Danielsen Lie). Un carattere femminile irrequieto, non riconciliato con il fatto di non essere madre né affettivamente stabile. La sceneggiatura di Trier e di Eskil Vogt ha le sue premesse nella mancanza di comunicazione e procede per strappi, o “neri”, tra una scena e l’altra, lasciando un margine a chi guarda per immaginare i non detti. “Valore sentimentale” qui riguarda sia un vaso di vetro conteso, sia il potere del sentimento, legame che va oltre i traumi domestici, qui taciuti ma suggeriti, all’opera sottotraccia. 

 

 

In questa voglia di tenerezza, il cinema e la creazione artistica che si trasmettono da una generazione all’altra temperano conflitti, silenzi, imbarazzi. Gustav che insegna con uno smartphone al nipote Erik l’abc del montaggio e del trucco cinematografico e la bellissima sequenza finale, anticipata da una prova “on set”, stanno lì a ribadirlo. Dramma familiare di possibile riconciliazione, Sentimental Value è attraversato da lampi sottili di umorismo scorretto, come fare jogging in un cimitero, tentare di impiccarsi su uno sgabello Ikea, regalare a un bambino di nove anni dvd di film erotici vietati ai minori, ascoltare di nascosto, come Gena Rowlands in Un’altra donna, le confessioni di pazienti in terapia. In questo proseguimento dell’Allen più bergmaniano risiede il senso dell’operazione, non solo mimetica, di Trier. Forse non la più inedita delle narrazioni, è un fluido intreccio arthouse di catarsi tra consanguinei, ottima recitazione, metacinema che fa ironia su Netflix, mentre il Grande Svedese di Persona rivive in un mash up di sovrimpressioni e dissolvenze tra i tratti somatici di Gustav, Agnes, Nora. Cinema antropocentrico, di sorellanza e prossimità ritrovata.