Il 1980 è un anno speciale per Goliarda Sapienza, scrittrice in crisi perché il libro cui ha dedicato dieci anni di lavoro non trova un editore disposto a scommettere su un’opera tanto profetica e illuminante sul significato di libertà (L’arte della gioia sarà pubblicato postumo prima in Germania e in Francia e solo dopo in Italia). I soldi sono pochi, gli amici latitano, i salotti intellettuali la ignorano e il suo animo ribelle la spinge a rubare i gioielli di un’amica. Arrestata, viene condannata al carcere. Ma Goliarda, che ha imparato la libertà dalla famiglia, trova a Rebibbia un nuovo universo, fatto di relazioni schiette, lontana dai condizionamenti sociali della buona borghesia romana, e il suo sguardo si apre su un nuovo modo di percepire la vita e le persone intorno a lei. Questo l’attimo che Mario Martone ha voluto fermare nel suo splendido film Fuori, ispirandosi alle opere L’Università di Rebibbia e La certezza del dubbio in cui Sapienza riflette sulla condizione carceraria e osserva come la prigione sia solo la forma più estrema di reclusione e che “fuori” dal carcere esistano forme di costrizione e limitazione della libertà più subdole e più pericolose.
Eppure, non si tratta di una biografia, seppure di un breve periodo di vita, perché Martone rincorre l’infilmabile, dedicando tutta la sua attenzione al mondo interiore della scrittrice in un percorso di straordinario cambiamento. Il punto di vista è al tempo stesso lo sguardo della protagonista e quello delle sue ex compagne di cella che, uscite di prigione, insieme, in modo anarchico, caotico e vitale, cercano di vivere una vita nuova negli interstizi di quella vecchia. Inevitabile, dunque, che i piani temporali si sovrappongano e la narrazione segua linee apparentemente spezzate. Il dentro e il fuori, il presente e il passato disegnano una linea esistenziale alternativa. Ecco perché il “fuori” appare a Goliarda il risultato di una scoperta, una vertigine che capovolge il senso e l’ordine delle priorità. “Quelle donne a Rebibbia stanno dentro anche quando stanno fuori, così quando siamo insieme mi sento libera, mi sento dentro anche io”, dice al marito, raccontandogli le sue più recenti esperienze.
Fuori, interpretato da tre attrici in stato di grazia (Valeria Golino, Matilda De Angelis e Elodie) è spiazzante e leggero, giustamente intimo e politico, non solo perché l’Italia di inizio anni Ottanta sta ancora affrontando il terrorismo (di cui Roberta, la più esposta alla vita delle tre sembra essere testimonianza prepotente), ma anche perché è un film che esalta il valore delle parole, pensate, percepite e agite sempre in sorprendente limpidezza. Parole che esprimono con forza il presente, ma che contengono al loro interno utopia e rabbia. Ad ogni incontro, che sembra sempre un’esplosione di emozioni, Goliarda e Roberta parlano con l’intimità proprie di due amanti, si scontrano come madre e figlia, si comprendono come due donne che hanno sofferto, gioito, pianto. E quando Roberta, prima di sparire, consegna le sue parole a Goliarda dopo aver letto quelle che l’amica conserva in una cassapanca, si consuma una sorta di passaggio di testimone, perché da quel momento in poi in Goliarda vivrà lo spirito feroce e ribelle dell’amica, la sua malinconia misteriosa, il coraggio, che saranno parte di discorsi futuri. (Le immagini sono di © Mario Spada).