Enzo (detto con la zeta dolce) vive a Marsiglia, ha sedici anni ed è figlio di una coppia agiata, che abita una lussuosa villa con piscina e pareti a vetro protette da un alto recinto. Ha un fratello che studia sodo per entrare in università a Parigi, ma lui ha preferito frequentare un istituto tecnico, perché ama le cose concrete. Enzo guarda la vita verso il basso e infatti nasce al film con le mani bruciate dalla calce che sta impastando nel cantiere dove lavora come apprendista, una casa in costruzione, che è il secondo set, quello scelto da lui, in cui questo ragazzo si muove. Enzo è anche l’ultimo film di Laurent Cantet, che ha aperto la Quinzaine des Cinéastes. Ed è pure il nuovo film di Robin Campillo: l’ha diretto dopo che il male incurabile (da cui è stato stroncato infine nell’aprile del 2024) ha impedito a Cantet di continuare a lavorare al progetto. Campillo, che a sua volta è autore di film notevolissimi (24 battiti al minuto e il sottovalutato Red Island), ha una lunga storia di collaborazione con Cantet: ha cosceneggiato e montato molti suoi film e non ha dunque esitato ad assumere la regia di Enzo, facendolo suo nella maniera di chi accarezza con delicatezza una persona cara. Ecco, la prima qualità del film è proprio questa forma carezzevole con cui tratta una storia lieve, quasi impalpabile nelle sue ragioni più intime. Se lo leggi in sceneggiatura, se ne consideri la struttura narrativa, gli sviluppi e i contrappesi, Enzo non lo capisci, anzi ne vedi soprattutto i limiti o al massimo la storia d’amore gay.
Questo invece è un film che lo devi trovare nella dolorosa imprecisione esistenziale del suo protagonista, nella sua instabilità, nella volubile incapacità di accettare l’indifferenza del presente, l’angosciosa inconcludenza del mondo al quale per nascita dovrebbe appartenere. Enzo è un pensiero prima ancora che un film: Robin Campillo sente in profondità l’introflessione dolce e sensibile con cui maneggia la storia di questo adolescente (interpretato da Eloy Pohu) che non riesce ad affacciarsi alla vita e ad accettare l’impropria realtà cui appartiene. La trasforma in un impulso empatico un po’ stupito e molto doloroso. Questo è un film di abbracci di lotta e di contrapposizioni tra legami forti: Campillo si affida ai sedici anni di Enzo per esprimere il malessere che oggi, nel nostro mondo, tutti abbraccia e tutti rifiuta allo stesso tempo. Per origine e formazione, Enzo non sarebbe adatto al mondo in cui invece decide di calarsi con decisione: quel cantiere fatto di terra, lavoro fisico duro, gente semplice che condivide sudore e fatica con lui, che invece ha una casa con piscina e due genitori che guadagnano più di seimila euro al mese… Ma Enzo non sta a suo agio nell’astrazione agiata del mondo ricco dei genitori, li sente come un corpo estraneo nella propria coscienza, un falso riflesso nel suo sguardo rivolto piuttosto verso la verità della vita, che invece è fatta di sofferenza, problemi… Sarà per questo che è così attratto da Vlad, un giovane operaio ucraino che lavora assieme a lui: la sua storia, l’eco della guerra che si porta addosso e da cui preferisce tenersi alla larga, lo coinvolge profondamente, gli fa sentire tutto il contrasto di un mondo spaccato tra l’ignoranza del lusso e la verità del dolore.
Tu ci disprezzi, gli dice il padre Paolo interpretato in ruvida, concreta affettuosità da Pierfrancesco Favino, mentre gli chiede perché vuole lavorare in un cantiere. Ed Enzo gli risponde semplicemente che gli piace costruire muri, perché sono l’unica cosa che rimarrebbe in piedi di questo mondo, se arrivasse uno tsunami a spazzare via tutto…. Più che disprezzo, Enzo nutre rancore per l’indifferenza e l’ignoranza in cui si pasce il mondo che conosce: sente la realtà di fuori che gli preme addosso, le guerre (in Ucraina) che rimbombano, la povertà che lo circonda, e capisce che tutto quello è estremamente più vero della tranquillità un po’ imbambolata del padre e della madre (Elodie Bouchez). Si stende sul baratro della costiera e guarda il cielo stellato. Quando disegna (benissimo) preferisce usare per modelli statue o foto, perché non sopporta l’idea di costringere una persona a stare immobile per ore (nota dedicata a Rivette, ça va sans dire…). E si innamora di Vlad non perché questa sia una storia d’amore gay (l’ennesima, o forse solo l’unica che è bello raccontare…), ma perché ha bisogno di sentirne il sapore, di far parte della sua vita, perdersi in lui. In Vlad, Enzo trova l’eco di quella guerra che – al di là delle bombe, della Russia e dell’Ucraina – è la scena del mondo che vede crollare attorno a lui e in cui si sente perso. Enzo è un film politico, tutto qui. È l’ultimo film politico possibile oggi, in cui le macerie del mondo si possono riflettere, riflettendosi nel possibile amore che unisce a distanza un sedicenne perso tra gli scavi di un mondo scomparso e un ventenne sospeso sul fronte di una guerra.