Referendum 1×2021 – 83 elettori hanno deciso: Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi è il film duellante dell’anno

1 per il 2021: un solo film per un intero anno. Il duello perfetto, niente decine, cinquine, terne: un faccia a faccia tra ognuno di noi e tutto il cinema che ha visto in sala, ai festival, in streaming, per decidere quale amore tra i tanti è l’Amore. Qual è, alla fine, il film (o la serie per qualcuno…) che resta davvero. È questo il gioco, magari anche la sfida di fine anno che noi di Duels abbiamo proposto ai nostri collaboratori e a un gruppo di amici (critici e anche filmmaker), per tirare le somme di un’annata che, nonostante la pandemia e nonostante il fiato ancora corto delle presenze in sala, ha dimostrato che il Cinema, in tutti i suoi stati, è vivo e sta anche molto bene. La lista dei voti che segue, la varietà delle singole preferenze espresse dai partecipanti, è una festa, la prova di quanto Cinema di alto livello sia stato visto nel corso del 2021. Il vincitore, se proprio uno deve essercene, è Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi: straordinario film dell’autore che evidentemente si è imposto più di chiunque altro all’attenzione internazionale (premi a Berlino per Il gioco del destino e della fantasia e a Cannes per Drive My Car). Ma a vincere è la lista nella sua interezza: la lista che è vita… e salute per il Cinema che abbiamo amato e che amiamo. La lista che racconta il legame segreto che ha unito ognuno dei partecipanti a un film e che si offre ora come un menu da scorrere per andare in cerca di Cinema da scoprire, vedere e magari amare altrettanto.
Buone visioni e Buon Anno a tutti da Duels.

 


Giacomo Abbruzzese

 First Cow di Kelly Reichardt

Ritmato da un montaggio capace di prendersi il tempo di creare un’attesa, senza mai autocompiacersi. Un film pieno di umanità, che ti fa venire voglia di mangiare, amare, rubare.


Luigi Abiusi

Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

Un film esistenziale, sradicato, disperato, onirico.


Marì Alberione

Ariaferma di Leonardo Di Costanzo


Elisabetta Andreis

Ariaferma di Leonardo Di Costanzo

I dialoghi e gli sguardi smontano le convinzioni date dalle divise. Guardie e “ladri” iniziano a riconoscersi per quello che sono: persone, al di là dei ruoli.


Pedro Armocida

Annette di Leos Carax

Leos Carax affonda il suo cinema musicale del futuro in quello delle origini, Étienne-Jules Marey come Méliès fino al Franju di Occhi senza volto per rielaborare un lutto personale, mettendo in stato di accusa il carattere egocentrico e narcisistico di un uomo, di un artista, in una delle forme di autoanalisi più spietata, autentica e dolorosa che si possa immaginare.


Marco Bacci

Squid Game di Hwang Dong-hyuk


Franco Bassini

Qui rido io di Mario Martone


Alberto Barbera

Il buco di Michelangelo Frammartino

Un’opera fuori da tutti gli schemi, visivamente straordinaria. Un’esperienza totalizzante, più prossima all’arte pura che al cinema che pure amiamo e frequentiamo. Per ricordarci che il cinema non è solo narrazione.


Luca Barnabé

Cry Macho di Clint Eastwood

Come pochi testi contemporanei sa raccontare in forma di cinema classico il fallimento del sogno americano. Clint ex cow-boy da rodeo, invecchiato, acciaccato, stanco e disilluso ritrova forza grazie a una missione: salvare un ragazzino messicano. «Salvare gli altri per salvare se stessi», ma senza alcuna retorica da film USA…


Matteo Bittanti

La serie podcast Things Fell Apart di Jon Ronson su BBC sounds

Perché la puoi “guardare” con gli occhi chiusi. Jon Ronson è il mio migliore amico parasocial. Tutti i miei amici sono parasocial, ma Jon lo è più di altri. Il titolo inoltre riassume lo stato delle cose.


Pier Maria Bocchi

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Luisa Bonalumi

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Chiara Borroni

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Helena Cairone

The Great di Tony McNamara


Giacomo Calzoni

Marx può aspettare di Marco Bellocchio

Perché le immagini non sono più soltanto ricordi, e nemmeno lo strumento per indagare a ritroso nel tempo le cause della tragedia; credere alle immagini è l’unico modo per avvicinarsi alla verità, accettandone finalmente il mistero.


Gianni Canova

Freaks Out di Gabriele Mainetti


Marianna Cappi

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Danilo Caputo

Feathers di Omar El Zohairy

Un film ipnotico che ti trascina in un mondo in cui tutto sembra sfilacciarsi, persino la ragione. Il connubio tra iper-realismo e fantastico è esplosivo, le cose più assurde vengono presentate come assolutamente normali, persino banali. La scena col prestigiatore è indimenticabile.


Giulio Casadei

What Do We See When We Look at the Sky? di Aleksandre Koberidz

Giorni e notti magiche sulle tracce di un amore e di un cinema magnificamente fuori dal tempo. Un film che riconcilia con l’esistenza.


Antonella Catena

È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino


Massimo Causo

What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze

Perché è la luce che libera lo sguardo e dunque il cinema. E anche perché è un film perfettamente complementare all’occlusione liberatoria di quell’altro magnifico film del 2021 che è Old di M. Night Shyamalan. Tutta la vita in due film!


Federico Chiacchiari

Devs di Alex Garland

Altro che il metaverso di Zuckenberg, il multiverso di Garland è il vero luna park dei sentimenti.


Mariuccia Ciotta

First Cow di Kelly Reichardt

Kelly Reichardt traccia la più spietata genesi dell’America, lo sguardo pietrificato sugli scarti di umanità. Il mito della Frontiera rovesciato.


Matteo Columbo

Petite maman di Céline Sciamma

Ti porta oltre lo specchio, nello spazio segreto dell’infanzia dove amore e lutto, abbraccio e perdita, confondendosi, prendono forma, luccichio e racconto.


Enrico Danesi

Qui rido io di Mario Martone


Tonino De Bernardi

Khiam 2000-2007 di Joanha Hadjithomas e Khalil Joreige

Visto al TFF 39. Film su un campo di detenzione che diventa emblematico. Straordinario come il film riesca a caratterizzare e ci faccia amare i protagonisti, ognuno con le sue precipuità. Diventano così i personaggi del teatro più vasto della vita e della memoria.


Adriano De Grandis

France di Bruno Dumont

Spietata (auto)analisi di come la percezione della realtà, che passa attraverso l’abuso delle immagini, possa creare un continuo fraintendimento percettivo, che porta l’umanità ad accettare la mistificazione di ogni atto. Non solo una corrosiva accusa verso il giornalismo televisivo e la sua insolente “falsità”, ma soprattutto l’analisi più spudorata sulla tragica, ridicola apparenza contemporanea.


Tonino De Pace

Khiam 2000-2007 di Joanha Hadjithomas e Khalil Joreige

Nella retrospettiva vista al TFF 39, grande impatto emotivo e traccia indelebile nella memoria.


Davide Di Giorgio

Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

In nome di un cinema (italiano, ma non solo) che apre prospettive, si riappropria del magico, corre in avanti mescolando i linguaggi (documentario e fiction, stile naturalistico e fantastico) pur guardando indietro (la tradizione orale, l’avventura, il western, la febbre dell’oro, il mito, la fiaba) e allarga i suoi spazi, uscendo dal chiuso della case fino a spingersi ai confini del mondo. Un’opera necessaria e sorprendente, in un ideale collegamento unita a Malignant di James Wan, altro titolo non identificabile, in bilico fra epoche e stili. La dimostrazione che oggi, afflitti come siamo da una cinefilia che sempre più chiude, delimita, incasella, la vera sfida sia aprire percorsi e riappropriarsi di un cinema come ricettacolo di possibilità.


Graziella Donati

Last Night in Soho di Edgar Wright


Simone Emiliani

Spider-Man: No Way Home di John Watts

Quasi vent’anni di cinema in un solo film con improvvise riapparizioni, che dialoga con il passato e il futuro.


Nicola Falcinella

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi

In un’annata di tanti ottimi film, anche italiani, il miglior regista è Ryûsuke Hamaguchi (che si era fatto notare con Happy Hour) per l’ispiratissima accoppiata Il gioco del destino e della fantasia e Drive My Car, che ha un equilibrio, un’armonia e una grazia superiori all’altro.


Beatrice Fiorentino

France di Bruno Dumont

Cinico e corrosivo, lucido e spiazzante, mentre teorizza sulla natura doppia e ingannevole dell’immagine, France è lo specchio crudele di un presente impazzito, dove non esistono appigli né approdi sicuri. Il manifesto di una contemporaneità senza principi, che dietro al luccichio dell’evoluzione estetica nasconde l’apice del suo degrado morale.


Manuela Florio

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Andrea Fornasiero

Underground Railroad di Barry Jenkins


Federico Francioni

What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze

È imperfettissimo e sformato, però – nonostante la lunghezza – mi ci sono trovato a mio agio. Ha un disordine affascinante, una fotografia magica, e tiene insieme suggestioni di Otar Iosseliani (depredato), qualcosa di Eugène Green, una certa indolenza asiatica autoriflessiva ed essenziale, Lionel Messi + “notti magiche” (fuori da ogni categoria razionale). Il tutto a Kutaisi, città fluviale in cui tutto scorre e che nel suo essere “piccola città” mi ha ricordato diverse desolazioni d’Italia vissute e familiari. Una Georgia dell’anima. Oggettivamente ci sono stati film più solidi e potenti, ma questo ha una forma intima di coraggio e resistenza che ho amato.


Mariolina Gamba

Madres paralelas di Pedro Almodóvar


Marzia Gandolfi

Ted Lasso 2 di Bill Lawrence e Jason Sudeikis

La serie più confortante dell’anno. Ambientata in uno spogliatoio di magnifici perdenti, continua a spiegarci che non c’è niente di male a esserlo. Impermeabile alle intemperie, Ted Lasso reincanta il mondo. Meglio di un antidepressivo.


Giuseppe Gariazzo

Une jeune fille qui va bien di Sandrine Kiberlain

Esordio nella regia dell’attrice francese. Una luminosa flagranza bagna ogni immagine di un film sorprendente, d’immensa modernità nel dipingere con la macchina da presa i sogni, i desideri, le aspirazioni di una ragazza che si infrangeranno contro la nerezza e il buio della Storia. C’è “qualcosa nell’aria” nel cinema francese d’oggi, corrispondenze filmiche e amorose, e ‘parentali’ (l’anno scorso il colpo di fulmine fu l’opera prima Seize printemps di Suzanne Lindon, figlia di Kiberlain). Cinema che colpisce con sensualità e precisione gli occhi e il cuore.


Mauro Gervasini

Titane di Julia Ducournau

Confesso di essere stato molto indeciso, il contendente era Il collezionista di carte ma Paul Schrader, nella sua grandezza, rappresenta un presente cinematografico forse non più colto e un passato glorioso, mentre Julia Ducournau, con Titane adesso e GRAVE prima, è un futuro dove ho molta voglia di stare. Il furore imperfetto del cinema che amo.


Raffaella Giancristofaro

Petite maman di Céline Sciamma

Céline Sciamma è regista di profonda, splendente intelligenza tecnica e umana. Petite maman attinge al piacere puro dei primordi dell’immagine in movimento, ne fa rifiorire il potenziale magico e immaginativo, ci riporta in dialogo con l’infanzia che non smette di costituirci e i segreti che abbiamo dovuto tenere dentro.


Federico Gironi

The Beatles: Get Back di Peter Jackson

La trasformazione di tutti (di John soprattutto, che deve aver messo l’ero da parte per un po’) dopo l’addio di George e il trasferimento a Savile Row; l’antipatia e la capacità di non capire niente di Michael Lindsay-Hogg; Yoko gatto attaccato alle balle; i sorrisi di Ringo, e le sue camicie; John che fa il cretino; le illuminazioni di Paul; le ombre di George (ma poi Here Comes the Sun), e i suoi abiti; Don’t Let Me Down (non mi va giù non sia finita in un album); Dig a Pony; i capelli di John dopo lo shampoo il giorno prima del Rooftop; le mogli, le compagne, le bambine; Billy Preston; il vaso di fiori; Something; le sigarette; il tè e il vino; il bene che si volevano; finire di vederla l’8 dicembre.


Leonardo Gregorio

Madres paralelas di Pedro Almodóvar

Per la sua bellissima imperfezione, a cominciare dal titolo. Perché è soprattutto un’opera di figlie parallele, dispersa tra la vita e la morte, tra il lutto e una rimemorazione che si fa incanto. Fino al ritorno al mondo


Andrea Lavagnini

L’età dell’innocenza di Enrico Maisto

Quando si diventa finalmente adulti? Quando si può dire di essere altro rispetto alla famiglia in cui si è cresciuti? L’età dell’innocenza è un racconto in primissima persona che porta all’estremo l’uso e l’estetica dell’home movies per chiedersi – con sincerità e sconcerto – cosa significhi essere figli. Punto medio tra Carrère e McElwee è probabilmente la migliore autofiction dell’anno. 


Silvia Luzi e Luca Bellino

Il cieco che non voleva vedere Titanic di Teemu Nikki

“Stavo guardando i film di John Carpenter, quando non sono riuscito più a capire la differenza tra Kurt Russell e l’husky, mi sono fermato”. Cinema totale (senza husky).


Luca Malavasi

Spencer di Pablo Larraín


Roberto Manassero

What Do We See When We Look at the Sky? di Aleksandr Koberidze

Perché oggi si dice che il cinema non parla più a nessuno, e Koberidze invece lo fa parlare in tutti i modi possibili (che poi sono i modi dei suoi maestri: Bresson, Iosseliani, Tati): attraverso i piedi, i ciuffi d’erba, le grondaie, i cani, i palloni, le strade e i monumenti di una città della Georgia. Non è realtà, non è poesia spicciola, nemmeno favola: è un film dove Messi vince la Coppa del mondo perché il suo regista ha deciso così.


Anton Giulio Mancino

 Ariaferma di Leonardo Di Costanzo

Parabola sul superamento in chiave nonviolenta – anche sul piano del disinnesco puntuale degli snodi drammaturgici convenzionali – del modello relazionale e gerarchico fondato sulla disparità imposta del panottico nei luoghi carcerari e per estensione nella società.


Emanuela Martini

Marx può aspettare di Marco Bellocchio


Massimiliano Martiradonna (Dikotomiko Cineblog)

Il potere del cane di Jane Campion

Un film di orizzonti proibiti, leopardianamente occlusi da colline reali eppure metafisiche come dune di Arrakis. Un film di visioni: suggestioni, miraggi, illusioni ottiche. È un western subliminale, un groviglio di sentimenti e desideri sommersi, di storie senza nessuna salvezza o verità possibili. Aspirazioni, passioni, sentimenti, tutto è represso, in devozione alla religione della Frontiera. Religio, cioè legare, tenere avvinto. Come una corda da mandriano, che può essere usata in modo incognito. The Power of the Dog e, come da titolo, una visione assai potente, invita a scrutare dentro il frame, come non accadeva dai tempi de Il raggio verde, con uno sguardo mai pacificato.

Matteo Mazza

West Side Story di Steven Spielberg

Spielberg apre il suo film sulle macerie, vira con ritmo su colori e speranza per raccontare l’amore ma, tragicamente, chiude nell’ombra. Ricorda che ieri come oggi i demoni del passato continuano a farsi la guerra, incapaci di comunicare. L’America è in frantumi.

Michele Menditto

Succession (terza stagione) di Jesse Armstrong

Dai dialoghi asfissianti e dalla regia nervosa, alla terza stagione Succession si conferma una delle serie più sintomatiche degli ultimi anni nel suo intrecciare le vicende di una famiglia-azienda patriarcale, dove la fascinazione per il potere passa attraverso tradimenti continui di un crudele gioco al massacro.


Mario Molinari

First Cow di Kelly Reichardt

Un anomalo pre-western che è uno straordinario esempio di fusione tra il quotidiano delle piccole storie individuali e la Storia di un’epoca, di una società, di un mondo, vista con gli occhi di due sognatori marginali, ma reattivi.


Filiberto Molossi

È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino

Perché la realtà è deludente, ma il cinema no.


Mirco Moretti (Dikotomiko Cineblog)

Spencer di Pablo Larraín

A fable from a true tragedy. Spencer è un titolo che vale mille proclami di indipendenza e identità, Lady Diana è una popstar infantile e indomabile protagonista di una storia gotica di fantasmi e vampiri. Il cinema di Larraín è stato freddo come la morte per anni, ma evidentemente le fiamme di Ema continuano a bruciare, e riscaldano un personaggio più reale del Reale, per un film gigantesco.

Emiliano Morreale

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi

Anche solo per la sequenza del monologo di Zio Vanja. Una di quelle scene semplici, che è inutile spiegare a parole e che portano nel cinema la forza del teatro.


Luca Mosso

The Walk di Giovanni Maderna

Per la qualità del gesto filmico e il piacere contagioso del cinema.


Sofia Nadalini

Scompartimento n. 6 di Juho Kuosmanen

Un film sull’amicizia, sull’amore, sulla memoria, sul viaggio, sull’incontro, sulla solitudine, sul cruciale bisogno degli altri; malinconico e dolce. Un film che emana calore in ogni momento, nonostante i freddi luoghi in cui è ambientato. Il ghiaccio toccato a mani nude non è mai sembrato così caldo…


Davide Oberto

Juste un mouvement di Vincent Meessen

Perché il cinema è “juste un mouvement” nello spazio e nel tempo capace di creare immaginario.


Grazia Paganelli

Serre-moi fort di Mathieu Amalric

Una vertigine pura. Adattando per lo schermo l’opera di Claudine Galéa, Mathieu Amalric procede in un percorso a zig zag e ci conduce attraverso un’avventura del pensiero e dell’anima. I desideri e le paure di una donna sull’orlo di un abisso si materializzano in un viaggio che conduce molto lontano. Verso la vita e verso la morte.


Andrea Pastor

La dernière séance di Gianluca Matarrese

Uno “slave”, il regista stesso, si fa autore e filma il suo anziano “Master” che va in pensione e cambia dimora. Più che un documentario sulla separazione, un commovente e commosso atto d’amore mai visto al cinema.


Federico Pedroni

The Beatles: Get Back di Peter Jackson


Paola Piacenza

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Cristina Piccino

Annette di Leos Carax

Un gesto di resistenza del cinema (e della vita) senza paura della catastrofe, con la dolcezza della malinconia.


Ramona Ponzini

Titane di Julia Ducournau

Perché la sua non-ortodossia cinematografica rappresenta il tentativo di un nuovo linguaggio, uno Schwa filmico in cui il soggetto cyborg/queer genera l’unica possibilità di un futuro egualitario in un mondo che, nel 2021, ancora non lo è.

Nicoletta Romeo

Il potere del cane di Jane Campion

Jane Campion rivisita i codici del cinema di genere in un western psicologico dove, tra mascolinità esibita e lacerazioni interiori, il desiderio rimane un mistero imperscrutabile fino alla fine.


Vincenzo Rossini

The Beatles: Get Back di Peter Jackson

È il Graal di tutti i beatlesiani mondiali, cucinato e servito in una lussuosa confezione restaurata. È anche un’opera problematica sul rapporto tra materiale d’archivio e storytelling: vediamo ciò che accadde o ciò che Paul e Yoko oggi vorrebbero che le generazioni future pensassero fosse accaduto?


Massimo Rota

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi


Giulio Sangiorgio

DAU. Natasha di Ilya Khrzhanovskiy e Jekaterina Oertel


Marina Sanna

Scene da un matrimonio di Hagai Levi

Hagai Levi intreccia vita e finzione, rilegge Bergman, rovescia i ruoli della coppia per indagare i meccanismi della separazione. Lo fa con sentimento: Oscaar Isaac e Jessica Chastain sprizzano passione da ogni poro, i dialoghi sono perfetti, le scene strazianti.


Mauro Santini

Memoria di Apichatpong Weerasethakul

L’ultimo (e il più bello) dell’anno.
Nel cielo della sala, What Do We See When We Look at the Sky? di Alexander Koberidze. Ero a casa, ma grazie a mubi: I Was at Home, But di Angela Schanelec


Carlo Michele Schirinzi

Il buco di Michelangelo Frammartino

Ritorno nell’utero mentre fuori tutto respira, lento, nell’inesorabile attesa delle varie morti (come in My Octopus Teacher, 2020, di Pippa Ehrlich e James Reed, dove ho solo pianto… e il cinema non penso c’entri più nulla, per fortuna). … ma quel sorriso innocente, disarmante e indifeso che il dio Miko/Eastwood dona ai nipotini di Marta nella locanda, vale un’intera vita… (Cry Macho di Clint Eastwood).


Samuele Sestieri

West Side Story di Steven Spielberg
Perché trasuda cinema da ogni inquadratura, fino alle lacrime.

Roberto Silvestri

Il buco di Michelangelo Frammartino
Antidoto a ogni immaginario ombelicale.

Silvana Silvestri

Cry Macho di Clint Eastwood

Quasi alla fine dell’anno arriva il film che riscatta una stagione deludente, quasi segno di un’epoca che si conclude, così come sembrerebbe arrivata al termine la  mitologia del protagonista. Ma si tratta al contrario di una grandiosa affermazione: la sua voce appena sussurrata è accompagnata da soluzioni di grande ironia stilistica e la sua decisa presa di posizione contro i confini sottolinea senza enfasi la sua attenzione all’attualità.


Simone Soranna

The Beatles: Get Back di Peter Jackson
Non è un film, non è una serie, non è un documentario. Non sappiamo cosa sia, ma è molto probabilmente una delle operazioni più potenti e importanti del contemporaneo.

Sergio Sozzo

Ahed’s Knee di Nadav Lapid

Lapid fa vorticare il confine lasciando esplodere le traiettorie dello sguardo attraverso i linguaggi allucinatori del contemporaneo. Un film punk che si permette l’oltraggio di ballare sulle griglie prestampate dell’occupazione: moderno pifferaio di Hamelin, il suo alter-ego ci porta sul ciglio del burrone, a svelarci l’inganno nascosto dietro ogni miraggio.


Aldo Spiniello

What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze

Se un racconto si muove per incantesimi e desideri, potrebbe anche non finire mai. Perché cos’è un desiderio, se non l’espressione di una tensione e di una mancanza incolmabile? Quando alziamo gli occhi al cielo, misuriamo tutta la nostra distanza dall’essenza dell’universo. Ogni immagine tenta di coprire, poco per volta, quella distanza. Si compone in storie che cercano la verità di un sentimento o di un’idea. Ma tutto sfuma nella dolcezza di un tempo mitico. La distanza resta immutata. Ma, nel lampo di un’intuizione, di un incontro o di una visione, per un istante è sembrata davvero minima.


Stefano Tevini

Oats Studios di Neil Blomkamp


Fabio Vittorini

Pose di Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals

Conclusasi nel 2021 alla 3a stagione: racconto onesto, impietoso e pieno di affetto della comunità trans newyorkese tra competizioni nelle ballroom, ragazzi cacciati di casa e la minaccia dell’AIDS che ha sterminato un’intera generazione di giovani.


Flavio Vergerio

Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi

Descrive con finissima e dolcissima poesia la storia di una riconciliazione del protagonista con se stesso e con gli altri, utilizzando come strumento di conoscenza e di ispirazione la messa in scena problematica del fondativo Zio Vanja di Čechov.


Giancarlo Zappoli

Hallelujah: Leonard Cohen, a Journey, a Song di Daniel Geller e Dayna Goldfine

Per la capacità di costruire un documentario privo di ripetitività o cedimenti stilistici facendolo ruotare intorno a una sola canzone.