1 per il 2021: un solo film per un intero anno. Il duello perfetto, niente decine, cinquine, terne: un faccia a faccia tra ognuno di noi e tutto il cinema che ha visto in sala, ai festival, in streaming, per decidere quale amore tra i tanti è l’Amore. Qual è, alla fine, il film (o la serie per qualcuno…) che resta davvero. È questo il gioco, magari anche la sfida di fine anno che noi di Duels abbiamo proposto ai nostri collaboratori e a un gruppo di amici (critici e anche filmmaker), per tirare le somme di un’annata che, nonostante la pandemia e nonostante il fiato ancora corto delle presenze in sala, ha dimostrato che il Cinema, in tutti i suoi stati, è vivo e sta anche molto bene. La lista dei voti che segue, la varietà delle singole preferenze espresse dai partecipanti, è una festa, la prova di quanto Cinema di alto livello sia stato visto nel corso del 2021. Il vincitore, se proprio uno deve essercene, è Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi: straordinario film dell’autore che evidentemente si è imposto più di chiunque altro all’attenzione internazionale (premi a Berlino per Il gioco del destino e della fantasia e a Cannes per Drive My Car). Ma a vincere è la lista nella sua interezza: la lista che è vita… e salute per il Cinema che abbiamo amato e che amiamo. La lista che racconta il legame segreto che ha unito ognuno dei partecipanti a un film e che si offre ora come un menu da scorrere per andare in cerca di Cinema da scoprire, vedere e magari amare altrettanto.
Buone visioni e Buon Anno a tutti da Duels.
Giacomo Abbruzzese
First Cow di Kelly Reichardt
Ritmato da un montaggio capace di prendersi il tempo di creare un’attesa, senza mai autocompiacersi. Un film pieno di umanità, che ti fa venire voglia di mangiare, amare, rubare.
Luigi Abiusi
Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis
Un film esistenziale, sradicato, disperato, onirico.
Marì Alberione
Ariaferma di Leonardo Di Costanzo
Elisabetta Andreis
Ariaferma di Leonardo Di Costanzo
I dialoghi e gli sguardi smontano le convinzioni date dalle divise. Guardie e “ladri” iniziano a riconoscersi per quello che sono: persone, al di là dei ruoli.
Pedro Armocida
Annette di Leos Carax
Leos Carax affonda il suo cinema musicale del futuro in quello delle origini, Étienne-Jules Marey come Méliès fino al Franju di Occhi senza volto per rielaborare un lutto personale, mettendo in stato di accusa il carattere egocentrico e narcisistico di un uomo, di un artista, in una delle forme di autoanalisi più spietata, autentica e dolorosa che si possa immaginare.
Marco Bacci
Squid Game di Hwang Dong-hyuk
Franco Bassini
Qui rido io di Mario Martone
Alberto Barbera
Il buco di Michelangelo Frammartino
Un’opera fuori da tutti gli schemi, visivamente straordinaria. Un’esperienza totalizzante, più prossima all’arte pura che al cinema che pure amiamo e frequentiamo. Per ricordarci che il cinema non è solo narrazione.
Luca Barnabé
Cry Macho di Clint Eastwood
Come pochi testi contemporanei sa raccontare in forma di cinema classico il fallimento del sogno americano. Clint ex cow-boy da rodeo, invecchiato, acciaccato, stanco e disilluso ritrova forza grazie a una missione: salvare un ragazzino messicano. «Salvare gli altri per salvare se stessi», ma senza alcuna retorica da film USA…
Matteo Bittanti
La serie podcast Things Fell Apart di Jon Ronson su BBC sounds
Perché la puoi “guardare” con gli occhi chiusi. Jon Ronson è il mio migliore amico parasocial. Tutti i miei amici sono parasocial, ma Jon lo è più di altri. Il titolo inoltre riassume lo stato delle cose.
Pier Maria Bocchi
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Luisa Bonalumi
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Chiara Borroni
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Helena Cairone
The Great di Tony McNamara
Giacomo Calzoni
Marx può aspettare di Marco Bellocchio
Perché le immagini non sono più soltanto ricordi, e nemmeno lo strumento per indagare a ritroso nel tempo le cause della tragedia; credere alle immagini è l’unico modo per avvicinarsi alla verità, accettandone finalmente il mistero.
Gianni Canova
Freaks Out di Gabriele Mainetti
Marianna Cappi
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Danilo Caputo
Feathers di Omar El Zohairy
Un film ipnotico che ti trascina in un mondo in cui tutto sembra sfilacciarsi, persino la ragione. Il connubio tra iper-realismo e fantastico è esplosivo, le cose più assurde vengono presentate come assolutamente normali, persino banali. La scena col prestigiatore è indimenticabile.
Giulio Casadei
What Do We See When We Look at the Sky? di Aleksandre Koberidz
Giorni e notti magiche sulle tracce di un amore e di un cinema magnificamente fuori dal tempo. Un film che riconcilia con l’esistenza.
Antonella Catena
È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino
Massimo Causo
What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze
Perché è la luce che libera lo sguardo e dunque il cinema. E anche perché è un film perfettamente complementare all’occlusione liberatoria di quell’altro magnifico film del 2021 che è Old di M. Night Shyamalan. Tutta la vita in due film!
Federico Chiacchiari
Devs di Alex Garland
Altro che il metaverso di Zuckenberg, il multiverso di Garland è il vero luna park dei sentimenti.
Mariuccia Ciotta
First Cow di Kelly Reichardt
Kelly Reichardt traccia la più spietata genesi dell’America, lo sguardo pietrificato sugli scarti di umanità. Il mito della Frontiera rovesciato.
Matteo Columbo
Petite maman di Céline Sciamma
Ti porta oltre lo specchio, nello spazio segreto dell’infanzia dove amore e lutto, abbraccio e perdita, confondendosi, prendono forma, luccichio e racconto.
Enrico Danesi
Qui rido io di Mario Martone
Tonino De Bernardi
Khiam 2000-2007 di Joanha Hadjithomas e Khalil Joreige
Visto al TFF 39. Film su un campo di detenzione che diventa emblematico. Straordinario come il film riesca a caratterizzare e ci faccia amare i protagonisti, ognuno con le sue precipuità. Diventano così i personaggi del teatro più vasto della vita e della memoria.
Adriano De Grandis
France di Bruno Dumont
Spietata (auto)analisi di come la percezione della realtà, che passa attraverso l’abuso delle immagini, possa creare un continuo fraintendimento percettivo, che porta l’umanità ad accettare la mistificazione di ogni atto. Non solo una corrosiva accusa verso il giornalismo televisivo e la sua insolente “falsità”, ma soprattutto l’analisi più spudorata sulla tragica, ridicola apparenza contemporanea.
Tonino De Pace
Khiam 2000-2007 di Joanha Hadjithomas e Khalil Joreige
Nella retrospettiva vista al TFF 39, grande impatto emotivo e traccia indelebile nella memoria.
Davide Di Giorgio
Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis
In nome di un cinema (italiano, ma non solo) che apre prospettive, si riappropria del magico, corre in avanti mescolando i linguaggi (documentario e fiction, stile naturalistico e fantastico) pur guardando indietro (la tradizione orale, l’avventura, il western, la febbre dell’oro, il mito, la fiaba) e allarga i suoi spazi, uscendo dal chiuso della case fino a spingersi ai confini del mondo. Un’opera necessaria e sorprendente, in un ideale collegamento unita a Malignant di James Wan, altro titolo non identificabile, in bilico fra epoche e stili. La dimostrazione che oggi, afflitti come siamo da una cinefilia che sempre più chiude, delimita, incasella, la vera sfida sia aprire percorsi e riappropriarsi di un cinema come ricettacolo di possibilità.
Graziella Donati
Last Night in Soho di Edgar Wright
Simone Emiliani
Spider-Man: No Way Home di John Watts
Quasi vent’anni di cinema in un solo film con improvvise riapparizioni, che dialoga con il passato e il futuro.
Nicola Falcinella
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
In un’annata di tanti ottimi film, anche italiani, il miglior regista è Ryûsuke Hamaguchi (che si era fatto notare con Happy Hour) per l’ispiratissima accoppiata Il gioco del destino e della fantasia e Drive My Car, che ha un equilibrio, un’armonia e una grazia superiori all’altro.
Beatrice Fiorentino
France di Bruno Dumont
Cinico e corrosivo, lucido e spiazzante, mentre teorizza sulla natura doppia e ingannevole dell’immagine, France è lo specchio crudele di un presente impazzito, dove non esistono appigli né approdi sicuri. Il manifesto di una contemporaneità senza principi, che dietro al luccichio dell’evoluzione estetica nasconde l’apice del suo degrado morale.
Manuela Florio
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Andrea Fornasiero
Underground Railroad di Barry Jenkins
Federico Francioni
What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze
È imperfettissimo e sformato, però – nonostante la lunghezza – mi ci sono trovato a mio agio. Ha un disordine affascinante, una fotografia magica, e tiene insieme suggestioni di Otar Iosseliani (depredato), qualcosa di Eugène Green, una certa indolenza asiatica autoriflessiva ed essenziale, Lionel Messi + “notti magiche” (fuori da ogni categoria razionale). Il tutto a Kutaisi, città fluviale in cui tutto scorre e che nel suo essere “piccola città” mi ha ricordato diverse desolazioni d’Italia vissute e familiari. Una Georgia dell’anima. Oggettivamente ci sono stati film più solidi e potenti, ma questo ha una forma intima di coraggio e resistenza che ho amato.
Mariolina Gamba
Madres paralelas di Pedro Almodóvar
Marzia Gandolfi
Ted Lasso 2 di Bill Lawrence e Jason Sudeikis
La serie più confortante dell’anno. Ambientata in uno spogliatoio di magnifici perdenti, continua a spiegarci che non c’è niente di male a esserlo. Impermeabile alle intemperie, Ted Lasso reincanta il mondo. Meglio di un antidepressivo.
Giuseppe Gariazzo
Une jeune fille qui va bien di Sandrine Kiberlain
Esordio nella regia dell’attrice francese. Una luminosa flagranza bagna ogni immagine di un film sorprendente, d’immensa modernità nel dipingere con la macchina da presa i sogni, i desideri, le aspirazioni di una ragazza che si infrangeranno contro la nerezza e il buio della Storia. C’è “qualcosa nell’aria” nel cinema francese d’oggi, corrispondenze filmiche e amorose, e ‘parentali’ (l’anno scorso il colpo di fulmine fu l’opera prima Seize printemps di Suzanne Lindon, figlia di Kiberlain). Cinema che colpisce con sensualità e precisione gli occhi e il cuore.
Mauro Gervasini
Titane di Julia Ducournau
Confesso di essere stato molto indeciso, il contendente era Il collezionista di carte ma Paul Schrader, nella sua grandezza, rappresenta un presente cinematografico forse non più colto e un passato glorioso, mentre Julia Ducournau, con Titane adesso e GRAVE prima, è un futuro dove ho molta voglia di stare. Il furore imperfetto del cinema che amo.
Raffaella Giancristofaro
Petite maman di Céline Sciamma
Céline Sciamma è regista di profonda, splendente intelligenza tecnica e umana. Petite maman attinge al piacere puro dei primordi dell’immagine in movimento, ne fa rifiorire il potenziale magico e immaginativo, ci riporta in dialogo con l’infanzia che non smette di costituirci e i segreti che abbiamo dovuto tenere dentro.
Federico Gironi
The Beatles: Get Back di Peter Jackson
La trasformazione di tutti (di John soprattutto, che deve aver messo l’ero da parte per un po’) dopo l’addio di George e il trasferimento a Savile Row; l’antipatia e la capacità di non capire niente di Michael Lindsay-Hogg; Yoko gatto attaccato alle balle; i sorrisi di Ringo, e le sue camicie; John che fa il cretino; le illuminazioni di Paul; le ombre di George (ma poi Here Comes the Sun), e i suoi abiti; Don’t Let Me Down (non mi va giù non sia finita in un album); Dig a Pony; i capelli di John dopo lo shampoo il giorno prima del Rooftop; le mogli, le compagne, le bambine; Billy Preston; il vaso di fiori; Something; le sigarette; il tè e il vino; il bene che si volevano; finire di vederla l’8 dicembre.
Leonardo Gregorio
Madres paralelas di Pedro Almodóvar
Per la sua bellissima imperfezione, a cominciare dal titolo. Perché è soprattutto un’opera di figlie parallele, dispersa tra la vita e la morte, tra il lutto e una rimemorazione che si fa incanto. Fino al ritorno al mondo
Andrea Lavagnini
L’età dell’innocenza di Enrico Maisto
Quando si diventa finalmente adulti? Quando si può dire di essere altro rispetto alla famiglia in cui si è cresciuti? L’età dell’innocenza è un racconto in primissima persona che porta all’estremo l’uso e l’estetica dell’home movies per chiedersi – con sincerità e sconcerto – cosa significhi essere figli. Punto medio tra Carrère e McElwee è probabilmente la migliore autofiction dell’anno.
Silvia Luzi e Luca Bellino
Il cieco che non voleva vedere Titanic di Teemu Nikki
“Stavo guardando i film di John Carpenter, quando non sono riuscito più a capire la differenza tra Kurt Russell e l’husky, mi sono fermato”. Cinema totale (senza husky).
Luca Malavasi
Spencer di Pablo Larraín
Roberto Manassero
What Do We See When We Look at the Sky? di Aleksandr Koberidze
Perché oggi si dice che il cinema non parla più a nessuno, e Koberidze invece lo fa parlare in tutti i modi possibili (che poi sono i modi dei suoi maestri: Bresson, Iosseliani, Tati): attraverso i piedi, i ciuffi d’erba, le grondaie, i cani, i palloni, le strade e i monumenti di una città della Georgia. Non è realtà, non è poesia spicciola, nemmeno favola: è un film dove Messi vince la Coppa del mondo perché il suo regista ha deciso così.
Anton Giulio Mancino
Ariaferma di Leonardo Di Costanzo
Parabola sul superamento in chiave nonviolenta – anche sul piano del disinnesco puntuale degli snodi drammaturgici convenzionali – del modello relazionale e gerarchico fondato sulla disparità imposta del panottico nei luoghi carcerari e per estensione nella società.
Emanuela Martini
Marx può aspettare di Marco Bellocchio
Massimiliano Martiradonna (Dikotomiko Cineblog)
Il potere del cane di Jane Campion
Matteo Mazza
West Side Story di Steven Spielberg
Michele Menditto
Succession (terza stagione) di Jesse Armstrong
Dai dialoghi asfissianti e dalla regia nervosa, alla terza stagione Succession si conferma una delle serie più sintomatiche degli ultimi anni nel suo intrecciare le vicende di una famiglia-azienda patriarcale, dove la fascinazione per il potere passa attraverso tradimenti continui di un crudele gioco al massacro.
Mario Molinari
Un anomalo pre-western che è uno straordinario esempio di fusione tra il quotidiano delle piccole storie individuali e la Storia di un’epoca, di una società, di un mondo, vista con gli occhi di due sognatori marginali, ma reattivi.
Filiberto Molossi
Perché la realtà è deludente, ma il cinema no.
Mirco Moretti (Dikotomiko Cineblog)
Spencer di Pablo Larraín
Emiliano Morreale
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Anche solo per la sequenza del monologo di Zio Vanja. Una di quelle scene semplici, che è inutile spiegare a parole e che portano nel cinema la forza del teatro.
Luca Mosso
The Walk di Giovanni Maderna
Per la qualità del gesto filmico e il piacere contagioso del cinema.
Sofia Nadalini
Scompartimento n. 6 di Juho Kuosmanen
Un film sull’amicizia, sull’amore, sulla memoria, sul viaggio, sull’incontro, sulla solitudine, sul cruciale bisogno degli altri; malinconico e dolce. Un film che emana calore in ogni momento, nonostante i freddi luoghi in cui è ambientato. Il ghiaccio toccato a mani nude non è mai sembrato così caldo…
Davide Oberto
Juste un mouvement di Vincent Meessen
Perché il cinema è “juste un mouvement” nello spazio e nel tempo capace di creare immaginario.
Grazia Paganelli
Serre-moi fort di Mathieu Amalric
Una vertigine pura. Adattando per lo schermo l’opera di Claudine Galéa, Mathieu Amalric procede in un percorso a zig zag e ci conduce attraverso un’avventura del pensiero e dell’anima. I desideri e le paure di una donna sull’orlo di un abisso si materializzano in un viaggio che conduce molto lontano. Verso la vita e verso la morte.
Andrea Pastor
La dernière séance di Gianluca Matarrese
Uno “slave”, il regista stesso, si fa autore e filma il suo anziano “Master” che va in pensione e cambia dimora. Più che un documentario sulla separazione, un commovente e commosso atto d’amore mai visto al cinema.
Federico Pedroni
The Beatles: Get Back di Peter Jackson
Paola Piacenza
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Cristina Piccino
Annette di Leos Carax
Un gesto di resistenza del cinema (e della vita) senza paura della catastrofe, con la dolcezza della malinconia.
Ramona Ponzini
Titane di Julia Ducournau
Nicoletta Romeo
Il potere del cane di Jane Campion
Jane Campion rivisita i codici del cinema di genere in un western psicologico dove, tra mascolinità esibita e lacerazioni interiori, il desiderio rimane un mistero imperscrutabile fino alla fine.
Vincenzo Rossini
The Beatles: Get Back di Peter Jackson
È il Graal di tutti i beatlesiani mondiali, cucinato e servito in una lussuosa confezione restaurata. È anche un’opera problematica sul rapporto tra materiale d’archivio e storytelling: vediamo ciò che accadde o ciò che Paul e Yoko oggi vorrebbero che le generazioni future pensassero fosse accaduto?
Massimo Rota
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Giulio Sangiorgio
DAU. Natasha di Ilya Khrzhanovskiy e Jekaterina Oertel
Marina Sanna
Scene da un matrimonio di Hagai Levi
Hagai Levi intreccia vita e finzione, rilegge Bergman, rovescia i ruoli della coppia per indagare i meccanismi della separazione. Lo fa con sentimento: Oscaar Isaac e Jessica Chastain sprizzano passione da ogni poro, i dialoghi sono perfetti, le scene strazianti.
Mauro Santini
Memoria di Apichatpong Weerasethakul
L’ultimo (e il più bello) dell’anno.
Nel cielo della sala, What Do We See When We Look at the Sky? di Alexander Koberidze. Ero a casa, ma grazie a mubi: I Was at Home, But di Angela Schanelec
Carlo Michele Schirinzi
Il buco di Michelangelo Frammartino
Ritorno nell’utero mentre fuori tutto respira, lento, nell’inesorabile attesa delle varie morti (come in My Octopus Teacher, 2020, di Pippa Ehrlich e James Reed, dove ho solo pianto… e il cinema non penso c’entri più nulla, per fortuna). … ma quel sorriso innocente, disarmante e indifeso che il dio Miko/Eastwood dona ai nipotini di Marta nella locanda, vale un’intera vita… (Cry Macho di Clint Eastwood).
Samuele Sestieri
Roberto Silvestri
Silvana Silvestri
Cry Macho di Clint Eastwood
Quasi alla fine dell’anno arriva il film che riscatta una stagione deludente, quasi segno di un’epoca che si conclude, così come sembrerebbe arrivata al termine la mitologia del protagonista. Ma si tratta al contrario di una grandiosa affermazione: la sua voce appena sussurrata è accompagnata da soluzioni di grande ironia stilistica e la sua decisa presa di posizione contro i confini sottolinea senza enfasi la sua attenzione all’attualità.
Simone Soranna
Sergio Sozzo
Ahed’s Knee di Nadav Lapid
Lapid fa vorticare il confine lasciando esplodere le traiettorie dello sguardo attraverso i linguaggi allucinatori del contemporaneo. Un film punk che si permette l’oltraggio di ballare sulle griglie prestampate dell’occupazione: moderno pifferaio di Hamelin, il suo alter-ego ci porta sul ciglio del burrone, a svelarci l’inganno nascosto dietro ogni miraggio.
Aldo Spiniello
What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze
Se un racconto si muove per incantesimi e desideri, potrebbe anche non finire mai. Perché cos’è un desiderio, se non l’espressione di una tensione e di una mancanza incolmabile? Quando alziamo gli occhi al cielo, misuriamo tutta la nostra distanza dall’essenza dell’universo. Ogni immagine tenta di coprire, poco per volta, quella distanza. Si compone in storie che cercano la verità di un sentimento o di un’idea. Ma tutto sfuma nella dolcezza di un tempo mitico. La distanza resta immutata. Ma, nel lampo di un’intuizione, di un incontro o di una visione, per un istante è sembrata davvero minima.
Stefano Tevini
Oats Studios di Neil Blomkamp
Fabio Vittorini
Pose di Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals
Conclusasi nel 2021 alla 3a stagione: racconto onesto, impietoso e pieno di affetto della comunità trans newyorkese tra competizioni nelle ballroom, ragazzi cacciati di casa e la minaccia dell’AIDS che ha sterminato un’intera generazione di giovani.
Flavio Vergerio
Drive My Car di Ryûsuke Hamaguchi
Descrive con finissima e dolcissima poesia la storia di una riconciliazione del protagonista con se stesso e con gli altri, utilizzando come strumento di conoscenza e di ispirazione la messa in scena problematica del fondativo Zio Vanja di Čechov.
Giancarlo Zappoli
Hallelujah: Leonard Cohen, a Journey, a Song di Daniel Geller e Dayna Goldfine
Per la capacità di costruire un documentario privo di ripetitività o cedimenti stilistici facendolo ruotare intorno a una sola canzone.